Dopo la sconvolgente intervista di “Repubblica” a Valentina, abbandonata a partorire in un bagno di un ospedale di Roma, ecco la petizione di Democrazia Atea: introdurre il divieto dell’obiezione di coscienza per medici e farmacisti, nel rispetto della libertà. Appena promossa, la petizione, ha raccolto quasi 600 firme.
(lagravidanza.it)
Sul sito change.org si potrà così votare per la petizione che vuole introdurre il divieto dell’obiezione di coscienza per medici e farmacisti, rispettando così la libertà delle persone. Un appello rivolto anche al presidente della Camera, Laura Boldrini, a Pietro Grasso, presidente del Senato e al premier Matteo Renzi.
“Vogliamo che i medici – scrivono i promotori – nell’esercizio delle professioni sanitarie nelle strutture pubbliche non abbiano remore morali. Pertanto se la religione impedisce a un medico di praticare le trasfusioni di sangue come terapia lecita, sicuramente quel medico dovrà scegliere di non fare l’ematologo, mentre se la religione impedisce a un medico di praticare l’interruzione di gravidanza, quel medico potrà sempre scegliere di fare il dentista o l’ortopedico, non deve necessariamente fare il ginecologo, ovviamente se opera nella sanità pubblica. La libertà di coscienza e l’obiezione di coscienza - proseguono i promotori – spesso sono confusi e sovrapposti e spesso anche da chi, per mestiere o per funzione, dovrebbe teoricamente essere in grado di conoscere le differenze tra l’uno e l’altro concetto”.
Secondo Democrazia Atea, “la libertà di coscienza è un diritto fondamentale inviolabile che trova la sua fonte nella Costituzione e nelle Convenzioni internazionali sui diritti fondamentali dell’uomo. Ognuno può legittimamente rifiutarsi di compiere un atto doveroso – si osserva – se dall’esecuzione di quell’atto ne possa derivare una lesione di diritti fondamentali inviolabili. I diritti assoluti sono, a titolo esemplificativo, il diritto all’uguaglianza, alla non discriminazione, alla laicità dello Stato, alla salute, cioè tutti i diritti di rango costituzionale. Ma – osservano i promotori - con l’obiezione di coscienza invece non si denuncia alcuna incostituzionalità della norma che si intende disattendere e ciò che si invoca sono i personali convincimenti, politici o religiosi, attraverso i quali si ritiene di poter legittimare il proprio rifiuto. Quindi – concludono i promotori – nel caso della libertà di coscienza il rifiuto è motivato dalla lesione di diritti costituzionali, nel caso della obiezione di coscienza il rifiuto è motivato dalla lesione di convinzioni personali”.
Il caso di Valentina e del marito Fabrizio. Affetta da una malattia genetica Valentina è stata costretta all’interruzione di gravidanza al quinto mese, ma nell’ospedale in cui era ricoverata, medici ed infermieri erano obiettori di coscienza. Così, la ventottenne è stata “abbandonata” a partorire il feto morto in bagno con il solo marito al proprio fianco. Si pensa che la causa di questa mancanza sanitaria sia da attribuire al cambio turno del personale. La donna, come si accennava prima, ha questa malattia genetica trasmissibile rara e terribile: in teoria potrebbe avere figli, quindi per legge per lei non è previsto l’accesso alla fecondazione assistita. La legge, infatti, le ha concesso solo la possibilità di rimanere incinta e di scoprire, in seguito, che il feto era ammalato e che il destino della bambina era stato definitivamente segnato.
“Quando è finito tutto non avevo più la forza di fare nulla. L’avvocato ha parlato di omissione di soccorso – spiega Valentina a Repubblica -, ma io so solo che nessuno deve essere trattato così in un Paese civile. Il responsabile è lo Stato che non garantisce un servizio sanitario adeguato. Nel Lazio quasi tutti i ginecologi sono obiettori. Pensate la desolazione che troppi devono vivere, obbligati a implorare per un ricovero, per abortire, come me, un figlio desiderato”.
L’Italia, negli scorsi giorni, è stata condannata dall’Europa proprio per la violazione della legge sull’aborto, dei diritti delle donne, proprio a causa dei troppi medici obiettori.