Pubblicato da Lello Stelletti il 20 febbraio 2012 · Lascia un commento
La sede dell'Opec a Vienna
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Il prezzo del petrolio nei mercati asiatici è salito oggi a quasi 105 dollari al barile dopo l’annuncio dell’Iran che ha tagliato le esportazioni verso Francia e Gran Bretagna. La disputa che vede coinvolta Teheran, l’Ue e gli Stati Uniti sul programma nucleare della Repubblica Islamica rischia di scuotere ulteriormente i prezzi del greggio, condizionati dall’evolversi della vicenda iraniana. Mentre i mercati guardano con attenzione gli sviluppi del vertice dell’Eurogruppo di oggi, in cui si affronterà la questione del debito greco, il tema Iran tiene, comunque, sempre piede.
Il Benchmark del greggio è salito di 1,75 dollari, attestandosi ai 104,9 dollari al barile a mezzogiorno, ora di Singapore. All’inizio della giornata aveva sforato quota 105,21 dollari, la più alta dal mese di maggio. L’aumento è vertiginoso se si considera la quota di 103, 24 dollari al barile di venerdì scorso. Il prezzo del Brent, il petrolio del Mare del Nord è salito, invece, di 1,52 dollari attestandosi a 121,10 dollari al barile. Il ministro del Petrolio iraniano, Rostam Qassemi, aveva avvisato la settimana scorsa che Teheran avrebbe imposto degli tagli verso le nazioni europee, considerate “ostili” dopo l’inasprimento delle sanzioni. I 27 Paesi dell’Unione europea rappresentano il 18% delle esportazioni petrolifere iraniane.
Lo scorso dicembre, il capo della commissione economica del Parlamento iraniano, Arsalan Fathipour, dichiarò che il prezzo del petrolio sarebbe schizzato a 250 dollari al barile se Stati Uniti e Unione europea avesse deciso di imporre sanzioni sull’acquisto del petrolio iraniano. Il prezzo del Brent, osservando i dati del 2011, aveva già raggiunto quote record con una media di 112 dollari, rispetto ai 79 del 2010. Un valore figlio dell’aumento della domanda da parte di Paesi emergenti e della nuova “primavera araba”.
Tuttavia, il prezzo al barile non ha ancora sforato oltre il record del 2008: la motivazione è derivata dalla compensazione saudita al crollo libico. Riyad, infatti, ha saputo mettere una falla al crollo della produzione della Libia durante le fasi del conflitto che ha portato alla destituzione di Muammar Gheddafi. Da 1,6 milioni di barili al giorno, infatti, la capacità produttiva di Tripoli era scesa a solo 50 mila. L’intervento dell’Arabia Saudita ha mantenuto in equilibrio il mercato petrolifero, anche se la possibilità di un propagarsi delle proteste verso i Paesi del Golfo ha mantenuto alta la tensione.
Oggi, invece, tutti gli occhi sono concentrati sull’Iran. Il presupposto di partenza è che il mercato del petrolio è guidato dalla domanda, in particolare se si tiene conto di alcune economie emergenti. Proprio la domanda è in continua crescita, se si tiene conto che il tasso di crescita di questo fattore è del 4% all’anno contro le medie del passato. Rispetto al decennio precedente (1999-2000), oggi, infatti, si consumano 3,3 milioni di barili in più al giorno. È evidente come, in un contesto simile, un calo dell’offerta derivante dal blocco della produzione iraniana potrebbe innescare un sempre maggiore rincaro del prezzo.
In questo caso, però, gli scenari possibili potrebbero essere due e coinvolgono direttamente i Paesi membri dell’Opec, ossia i grandi esportatori di petrolio. Se l’Arabia Saudita e gli altri Stati membri decidono di non cooperare con l’Iran, tentando di compensare la produzione iraniana, i prezzi continuerebbero ad aumentare ma rimanendo in equilibrio. In quel caso, aumenti netti sarebbero figli della speculazione, e non tanto dei fatti reali. Se, invece, i Paesi dell’Opec decidessero di assecondare la posizione iraniana, fatto a oggi scarsamente plausibile, l’equilibrio già precario del mercato verrebbe meno e i prezzi salirebbero verso cifre vertiginose, magari toccando anche i livelli record auspicati da Fathipour.
Riyad ha già annunciato di essere pronta a incrementare la propria produzione di altri due milioni di barili giornalieri, rispetto alla decina circa attuale, per rimpiazzare il petrolio iraniano. Secondo Paese dell’Opec, l’Iran produce 3,5 milioni di barili al giorno, esportandone per altro solo 2,5 milioni. Se da sola l’Arabia Saudita riuscisse a compensare il buco di 2 milioni, un intervento minimo degli altri membri potrebbe coprire interamente la falla aperta da Teheran. Ricordiamo, che il 20% dell’oro nero iraniano viene venduto ai Paesi dell’Ue, in particolare Italia, Spagna e Grecia, mentre un restante 70% è diretto verso acquirenti asiatici.
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