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Ci saluta così un uomo che ha segnato la sua epoca, apponendovi la propria firma indelebile e lasciandoci in eredità titoli indimenticabili, come “Lamento di Portnoy”, “Pastorale americana” e “Il teatro di Sabbath”. Apprezzati successi, ma questo autore non ci lascia in eredità solo libri, ma anche interessanti film tratti dagli stessi, con la collaborazione di importanti nomi del mondo dello spettacolo (come il regista Robert Benton, che ha diretto “La macchina umana”, tratto dall’omonimo romanzo, in cui hanno recitato Anthony Hopkins e Nicole Kidman).
Non un fulmine a ciel sereno, ma una decisione ben ponderata quella di Roth, che già alcuni anni fa, rendendosi conto di “essere a corto di anni” – per citare le sue stesse parole –, decise di rileggere le sue novelle favorite e tutti i suoi libri in ordine cronologico inverso: “Volevo capire se avessi sprecato il mio tempo scrivendo. E ho deciso che è stato un buon successo”. Un’attenta, sincera e autocritica valutazione del proprio operato quindi, terminata con la giusta convinzione di aver dato il massimo e di poter perciò ritirarsi, dopo una vita dedicata alla scrittura: “[…] non voglio più leggere o scrivere. Ho dedicato tutta la vita alle mie novelle: ho studiato, insegnato, scritto e letto. Escludendo quasi tutto il resto. Quando è basta è basta! Non provo più il fanatismo per la scrittura che ho sperimentato per tutta la mia vita”. L’addio definitivo, sentito e sincero di un grande autore, che ha dato moltissimo al panorama letterario e culturale degli ultimi cinquant’anni.
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