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Pianto antico, incastri e pedine del domino.

Creato il 10 dicembre 2012 da Unarosaverde

Ho una certa fissazione, nonché abilità di cui mi vanto, di riuscire ad incastrare le cose. Molte cose.

Mi capitano giornate in cui gli impegni e le scadenze si addensano, senza che lo possa evitare, e allora sfodero capacità organizzative al limite dell’equilibrismo. Insomma, incastro improbabili eventi piegandoli all’ovvietà, escogito soluzioni e rapidi spostamenti, faccio tutto e mi compiaccio assai di me stessa. E poi mi godo la successiva quiete.

Parte di questa abilità è innata, parte è un vizio a cui indulgo, parte è stata affinata dal tipo di lavoro che svolgo, in cui mi si richiede di giocare ai puzzles – per ridurre la faccenda ad un esempio banale -, parte mi sorge da chissà dove nell’attimo in cui percepisco che il Fato trama contro la mia volontà. Proprio allora mi prende la voglia di far vedere al Fato che si sbaglia, che SI PUO’ FARE, come dicevano in un indimenticabile, demenziale film.

La maggior parte delle volte va tutto benone: gongolo, mi picchio sulla spalla, mi dico “brava” e mi preparo per la volta successiva, con consumata perizia di merlettaia. Encaje de bolillos, ricamo al tombolo, mi hanno spiegato si chiama in spagnolo, questo gioco agli incastri.

Quando, un mese fa, ho organizzato il mio dicembre, irto di giorni festivi come uno scolapasta di buchi, è stata una passeggiata: in pochissimi giorni, tra telefonate e prenotazioni di viaggi aerei, avevo inanellato a perfezione tutto quello che dovevo fare, ivi inclusi tre trasferte di lavoro in terra spagnola e un corso di formazione a Milano.

Poi ho dovuto rifare tutto e infilare, con nervosismo ma con una certa residua sicumera,  una risonanza magnetica tra un viaggio e l’altro e una visita ortopedica in extremis, l’ultimo giorno prima della chiusura natalizia – o della fine del mondo secondo i maya, dipende da cosa succederà.

Per fare ciò, dato che non avevo scelta, ho fatto spostare il corso milanese, (dai chiama e fammelo mettere a gennaio, dai, che vuoi che sia…..), ho rischedulato la visita al Cenacolo che mi ero programmata in uno dei giorni cittadini – sono solo dieci anni che voglio vedere l’Ultima Cena, posso aspettare un altro mese -, e ho perso la possibilità di cenare, sempre sotto l’ombra della Madonnina, con un’amica che vedo troppo poco. Il fine giustifica i mezzi: era troppo importante sapere, prima della fine dell’anno, cosa devo fare, con questo ginocchio, e chiudere una pratica assicurativa che da troppi mesi è sospesa.

Non so voi ma io detesto le cose sospese, salami esclusi.

Ci siete fin qui? Non è stato facile ma alla fine, con un po’ di schedulazione seria, filava di nuovo tutto a perfezione, un ingranaggio ben oliato, un orologio svizzero.

Poi è capitato che questa mattina mi abbiano chiamato dal centro radiologico per dirmi che erano tanto tanto tanto spiacenti ma la macchina della risonanza si era rotta e non sapevano come e quando sarebbe stata ripristinata. E mentre me lo dicevano io ho visto le pedine del mio domino crollare, una di seguito all’altra, la RM schizzare a gennaio inoltrato e con essa tutto il codazzo di altri appuntamenti, dall’ortopedico alla clinica in cui sarò operata, alla chiusura delle pratiche. E di nuovo dovrò incastrare cose tra mille altre cose, tra i viaggi e i corsi spostati, e riprogrammare tutto da capo.

Perciò, terminata la telefonata, mi è venuta un’immediata e comprensibile voglia di affondare un cucchiaio nella crema alla nocciola, più e più volte, per lenire il nervoso, calmare la frustrazione per un Fato che pare abbia vinto sulla mia sublime Arte Logistica. Senonché la crema alla nocciola non l’avevo a portata di mano, in ufficio.

Allora ho ripiegato su un tè caldo con il miele ma, nella foga stizzosa, ne ho rovesciato metà sulla tastiera del computer portatile.

E le pedine del domino hanno continuato a cadere una sull’altra, clic-clic-clic, per spirali e curve, clic-clic-clic, sui tasti bagnati e i file non salvati, clic-clic-clic tra le risate dei colleghi che, da due anni a questa parte, si stanno godendo un mondo la storia di come  un semplice, comunissimo menisco rotto possa diventare  surreale leggenda.

(E poi, perché diavolo mi devono dare il loro parere – “io al tuo posto avrei fatto” – se nessuno di essi è un medico?!)


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