Fino ad oggi la vicenda delle ragazzine prostitute di Roma non mi aveva colpito o appassionato e a parte la straordinaria quantità di nipoti che deve aver avuto Mubarak, mi pareva che non ci fosse molto di nuovo o di interessante da dire. Adesso invece qualcosa spunta fuori da questa storiaccia e intinge i suoi veleni nella frattura tra il vecchio mondo della borghesia produttiva e i suoi valori, la sua “coscienza infelice”, il compromesso keynesiano del riformismo e la realtà liberista del mercato senza vincoli dove le persone interpretano il loro ruolo e la loro stessa esistenza in termini di consumo, mentre il loro grado di cittadinanza ricomincia a dipendere dal loro reddito.
Così il benessere una volta confutato nelle sue radici e divenuto inutile per le nuove oligarchie del capitale finanziario, dedite a far denaro dal denaro, si trasforma in malessere e degrado. Perché ciò che esprimono le piccole prostitute romane non ha niente a che vedere con qualche perversione specifica propria o soprattutto dei clienti, ma con i rapporti di potere e la nuova antropologia che essi stanno creando. Dice una delle ragazzine che a quanto pare avevano ideato in proprio la start up sessuale: «Io sono disposta a fare questa cosa, perché secondo me questo è il prezzo da pagare per tutte le cose che vogliamo noi» Dicono i giudici «Basta pensare che gli stessi futili motivi, quale spinta motivazionale all’esercizio della prostituzione costituiscono espressione della immaturità delle due ragazze e della incapacità di operare scelte consapevoli».
E’ una voce molto vecchia quella che parla perché anzi le baby prostitute sembrano molto consapevoli di ciò fanno e sono abbastanza mature da aver visto come la vendita del corpo, delle idee, delle cariche, della dignità è una pratica non solo accettata, ma diffusa e può portare dalle copertine delle riviste da parrucchiera al Parlamento, alla finta imprenditoria delle mantenute. Però non è soltanto una questione di cattivo esempio: è tutto l’insieme della società che funziona sulla compravendita, sullo scambio diseguale, su una libertà malintesa e su una precoce iniziazione al consumo e all’oggettivazione di sé in ciò che si ha che porta fatalmente a questo. Qualcuno dirà, ma arrivare a prostituirsi … invece è del tutto normale e in un certo senso privo di malizia, se si eccettua quella naturale dell’adolescente: perché nel momento in cui si diviene come persone ciò che si possiede e si mostra, lo scambio tra prestazione sessuale e borsa griffata è assolutamente paritario.
Se qualcuno in un certo senso è immaturo e inconsapevole sono i giudici che forse non hanno ancora compreso in che mondo viviamo, sono i genitori perversi e impotenti che divengono aiuto papponi, sono i giornali moralisti che si scandalizzano delle scopate a pagamento, ma non dei massacri sociali che sono invece parte dello stesso universo di valori e di prassi. Non oso pensare come sarebbe trasformata la commovente storia della piccola fiammiferaia, se Andersen la scrivesse oggi, ma di certo la realtà è che la prostituzione sotto le sue varie forme, si è trasformata in un’occasione: anche una ragazzina è abbastanza consapevole, al contrario di chi non comprende le orribili mutazioni sociali cui andiamo incontro, che non sarà un lavoro malpagato e incerto, magari da conquistare anche a costo di concessioni sottovita, non sarà l’intelligenza o il merito a realizzarle e a liberarle. E per questo usano ciò che il mercato chiede, senza alcuno scandalo di sé, perché sono cresciute col mito della mano invisibile che arriva appunto dappertutto, dentro le teste e dentro le mutande.