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Plumcake che sanno di nuove speranze e di inverno.

Creato il 20 febbraio 2015 da Agipsyinthekitchen
Questa sera ho chiuso la giornata con una telefonata di mio padre. Una di quelle brutte per intenderci, dove recriminava ogni cosa, per poi sottolineare la mia completa inadeguatezza, a suo dire, nell’approcciare questa mia nuova scelta di vita. Non solo non la condivide e non vuole averci nulla a a che fare, am cerca di mettere ogni bastone che trova, dannati a tutte le ruote  a mia disposizione. Questo fa male. Ma non fa male per la contrapposizione di idee, quanto piuttosto nella dinamica degli avvenimenti. Non lo nego: ho sempre avuto un debole per mio padre. Bello e dannato da giovane, sempre profumato di vetiver e patchouli. Una specie di principe azzurro con giacche e camicie sempre perfette e nodi di cravatta stretti giusti – né piccoli né grandi. Sfuggente, molto “orso”, senza esternazioni di affetto – forse è per questo che faccio fatica a dare baci e tenere le mani in pubblico. Un faccendiere: il famoso bello e impossibile cantato dalla Nannini negli anni 80, questo era mio padre. Negli occhi questa poesia malinconica, nelle spalle il peso di una famiglia affaccendata, difficile, impegnativa che come primogenito di 5 figli – 4 femmine e lui l’unico maschio – si è sempre addossato il peso di ogni responsabilità – dalle marachelle di mio nonno, ai dispiaceri di mia nonna, fino a arrivare alle scappatelle delle sorelle – è andato persino in India a recuperare la zia di Londra, quando questa per amore scappò lì un anno intero. _DSC1474 _DSC1475 Io dal canto mio, per quei pochi anni in cui abbiamo condiviso la casa e il tetto, non riuscivo ad uscire di casa senza che lui mi desse il suo buongiorno, dalla porta chiusa del bagno.
buona giornata stellina
e se mancava anche solo una inclinazione in vocale, non mi schiodavo da quel triangolo di moquette davanti alla maniglia dorata. Gli anni passano, il matrimonio con la mia mamma cede e così cede anche il mio sogno di amore verso l’unico uomo dal quale ho sempre voluto sentirmi accettata. Attenzione: cede la speranza di essere ricambiata, ma non l’amore incondizionato che comunque riversavo su di lui. Arriva l’adolescenza, io mi rinchiudo in me stessa e faccio mio il dolore di mia madre, rifiutandomi di approcciare mio padre e la sua nuova famiglia, ostinandomi a cercare i motivi del non volermi del mio babbo, in una somiglianza sempre più marcata alla mia mamma, dal quale lui non solo era scappato, ma evitava di gran lunga. Passano altri anni, e le divergenze sono così forti che non solo non vengo invitata al suo nuovo matrimonio, ma decido di none educargli la tesi, perché mia mare aveva messo un ultimatum su questa – e dopo anni, solo adesso capisco a mente fredda il punto di vista di ciascuno…ma una domanda sola rimane viva in me: perché nessuno ha provato a capire come stavo io, in questi anni che sono sembrati infiniti, difficili e  un po’ freddi? _DSC1481 _DSC1493 Fast forward: il mio cuore si spezza e a raccogliermi c’è mio padre – burbero, chiuso ma lì. Presente e vigile come mai avevo sentito qualcuno accanto a me. E poi: poi arrivano questi anni. Io brava figlia che non delude e accetta percorsi di vita stabiliti perché così so ce posso dare soddisfazione e nutrire la felicità di chi amo, e per ila aule amore darei un braccio. Eppure a volte sembra che nulla sia mai abbastanza. Eppure non metto in dubbio niente, si tratta solo di una stanchezza diffusa, che lascia un sentore di amaro, difficile da coprire o ignorare. Sono così: nei miei mille difetti e nelle mie infinite mancanze. Ma se nemmeno chi dovrebbe amarmi secondo la famosa regola ” ogni scarrafò è bello a mamma soia” riesce ad accettarmi pienamente se non faccio ciò che penso sia meglio per la mia personale ricerca di felicità, come potrò mai essere pienamente adorata da qualcun’altro?  Non è una domanda che vuole risposta, è solo lanciata nell’etere, non cerco affermazioni o comprensione o ancora peggio pietà. Vorrei solo capire. Capire e risalire alla fonte di tanti perché che stanno a nuora circumnavigando i miei interrogativi. Nel frattempo mi basta consolidare e giustificare questo mio bisogno di curare chi ho accanto: so come prendermi cura degli altri, sono la geisha perfetta. Ma non ho la più pallida idea di come ci si faccia a fidare, affidare e abbandonare nelle mani di qualcun’altro, che la verità è che on permetto a nessuno di prendersi cura di me, perché non sono capace di farlo. _DSC1502 plumcake invernale 170 gr di farina di avena 170 gr di farina di farro 1 bustina di lievito 200 gr di zucchero 3 uova 70 gr di cocco grattugiato 120 ml di olio di cocco 3 uova 190 gr di latte di mandorla 100 gr albicocche secche 100 gr mirtilli secchi 50 gr noci 50 gr nocciole semi di papavero tritare noci e nocciole grossolanamente. Mettere da parte. Mettere i mirtilli con le albicocche secche in una bacinella di grand marnier per farli riprendere, per circa 30 minuti. Poi scolarli e mettere da parte. in una ciotola, setacciare le due farine, il lievito,il cocco grattugiato,  lo zucchero. In un’altra mescolare le uova con l’olio di cocco e il latte di mandorla, fino a creare un composto omogeneo. Aggiungere il composto liquido a quello degli ingredienti secchi. Unire la frutta secca che avrete prima infarinato a parte, le noci e le nocciole. imburrare uno stampo da plumcake, versare il composto ottenuto, cospargere la superficie di semi di papavero  e infornare in forno pre riscaldato a 180°c per un’ora circa.

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