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Poi dici che è quel che succede alle ventiquattrenni e un po’ ti senti normale, finalmente, e ti calmi.
Dici che l’estate che credevi è andata, ma fanculo anche all’estate, non ne hai bisogno come non hai bisogno del Dc, dell’Ingegnere, di D., dell’abbronzatura, degli appunti di storia della lingua latina. E che forse non è male passare le ultime due settimane di luglio in coda in tangenziale per distrarre tua madre e riempirle i vuoti, farla ridere chiamandola dottor House pur sapendo che non ha idea di chi egli sia.
Poi però la porti a Brescia e piange, piange in centro davanti a chi non le dà la soddisfazione di rifiutarla, piange sul soppalco che non riesce a salire, piange sui ronchi San Francesco di Paola, dove ha abitato fino al giorno dei carabinieri di Piazza Tebaldo Brusato, piange in auto mentre la riporti al paesello.
Poi però l’ombra del Monte Baldo ti insinua ricordi che rifiuti, la vista (in lontananza e attraverso la foschia) di Lazise ti fa pensare che quelli al di là del lago presumibilmente sorseggiano un martini nel frigidarium, mentre qui non c’è nemmeno una bottega aperta, sugli autobus non funziona l’aria condizionata e i rari tedeschi che corrono tra Maderno e Villa Alba sono grassi e stempiati. Ma in fondo tu in vacanza alle Eolie vai ad Acquacalda, tra i resti in ferro arrugginito del pontile della pomice, mica sulla terrazza del Raya a Panarea.
Poi però il giro-parenti tocca i lidi orientali della Serenissima e l’inquietudine aumenta, proprio nel punto in cui la linea 2 svolta a sinistra per lasciare Mestre con la promessa del riscatto che è Venezia; un riscatto affollato e sporco in cui non puoi neanche più perderti.
Allora l’ego(t)ismo torna ad affacciarsi prepotente e si unisce alla voglia di fuggire che hai da vent’anni, la preclara voglia di viaggiare dei sagittari, ovviamente.
Il pendolino ripercorre le stazioni da cui sei passata solo qualche mese fa, quasi cancellandole come la gomma di quelle biro vietatissime dalle maestre quando andavo a scuola, la società della colpa non si pulisce sfregando sul foglio.
Poi dici che una città è solo un luogo, che non ti leghi a un posto dai tempi del tuo terzo trasloco, che hai smesso di aspettarti le persone e fai prendere a tutto la forma forzata del tuo cinismo.
Poi dici che la gente non si sposa più e invece si sposa tutta a Roma, dici che gli spagnoli non fanno turismo culturale.
Che se le persone danno un’impressione e poi non la rispettano ci sarebbe da chiedere il risarcimento per danni morali.
Che non si può ridere del mutamento linguistico e delle figure retoriche fino a sentire le fitte alle guance, che è irreale fare gesti contro natura, se la natura è la tua.
Dici che i luoghi comuni sono difficili da visitare come da vincere e nei miei ci stavo benissimo, il che vuol dire che o sono io la stronza o lo sei tu.
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