di Alfonso Nannariello
Il capricorno sfondò per me la porta di un’alba di gennaio. Mamma nel contraccolpo gli cedette. Sparpagliando intorno un grido mi sgravò.
Nacqui un martedì, un giorno dedicato a un dio in guerra. La sera prima, però, il 17, quando si ruppero le acque, era iniziato il carnevale, un tempo che sterra la terra e la rivolta mettendo tutto sottosopra. È in quel momento che i morti ritornano tra i vivi.
Tra l’altro io fui concepito nel mese di aprile, «il più crudele dei mesi», perché «genera lillà da terra morta».
Deve essere per questo che mi trovo qui, da queste parti. Forse un morto m’è salito a bordo clandestino, magari per starsene sul molo dei miei giorni ed attendere qualcuno agli altri arrivi.
Ed io non so, se sono io o un altro che voleva ritornare ad essere dov’era.
Nella camera dei miei chi entrava e chi usciva. Con me accanto mamma riceveva a letto. In quello spazio stretto si faceva festa e si facevano brindisi ed auguri. ‘Ndnètta e zie’ Lina facìenn r’ c’r’mònih: servivano i biscotti e i bicchierini posati sul comò. L’aria della stanza sotto l’arco sapeva ancora di sposi freschi. Ed ora, a seconda del momento del giorno, anche del rigetto del latte delle mie poppate, del brodo di gallina che avrebbe dovuto rinforzare mia madre provata dal parto, di pianto e borotalco.
La madre di mio padre era in casa, ma non poté far niente poiché non riusciva più ad alzare il braccio sinistro. Ma quando la prima volta mi incontrò, guardandomi i polsi mi predisse qualcosa.