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Fil rouge delle due sezioni filmiche è la presenza di una figura femminile nella vita del ricco scrittore Pierre (Depardieu Jr.). Qui, all’interno della lussuosa villa in Normandia, calca la scena una madre Catherine Denevue sulla quale aleggiano impressioni di ambiguità. L’attrice, con una recitazione ridotta al minimo sindacale, sono convinto che avrebbe un’aria aristocratica anche in una favela, e Carax conscio di ciò esacerba al massimo lo sfarzo ambientale attraverso uno sforzo registico che trasmette precisamente una sensazione di fastosità con musiche enfatiche e movimenti ariosi come quelli della sequenza iniziale. Se il film fosse proseguito su questo registro avrebbe raggiunto soglie di pedanteria quasi urticanti. Invece, grazie ad un ovattato coup de théâtre si introduce la seconda figura muliebre, una sorella illegittima che fino a quel momento aveva vissuto nell’ombra e che dell’ombra sembra far parte.
La seconda parte si apre dunque così: con un monologo errante al chiaro di luna di rara bellezza cinematografica. Vieppiù che la dirimpettaia della Denevue è Yekaterina Golubeva, una donna che sono arciconvinto sarebbe riuscita ad immalinconire chiunque con il suo sguardo assiderale.
A questo punto Carax ripete l’operazione precedente: se prima Pierre tracciava le lussureggianti campagne francesi a bordo di una moto, adesso si trova a girovagare fra i bassifondi parigini con tre immigrate a seguito.
Di conseguenza anche il tono visivo imbrunisce, la solarità viene scansata dal grigiore urbano e la persona Pierre subisce un tracollo irreversibile che lo trasforma da giovane rampollo a uomo claudicante e sofferente.
Pola X (1999) si compone perciò in questi due capitoli lontani l’un l’altro ma reciprocamente indispensabili per la fisicità dell’opera. Eppure il film non si esaurisce qui, anzi il regista nato a Suresnes dà come l’impressione di voler strafare diluendo la vicenda più del dovuto.
Se il parallelo fra la madre e la sorella è chiaro (lo vediamo anche nella relazione incestuosa), ci sono un paio di personaggi fuori fuoco come le compagne della Golubeva, gli uomini dentro la fabbrica abbandonata e il diabolico cugino interpretato da Laurent Lucas. Troppo materiale e relativa pochezza di amalgama cosicché alla fine l’opera scivola come il suo protagonista in un baratro irrazionale in cui sembra che sia stato smarrito il filo conduttore.
Difficile dare giudizi esaurienti su Carax non avendo visto nient’altro di suo.
Il vecchio adagio “è bravo ma non si applica” potrebbe essere trasformato in un parrebbe bravo, è che si applica anche troppo! Ad ogni modo credo che gli darò ancora qualche possibilità, d’altronde non si vede tutti i giorni una sequenza onirica in cui due fratelli dediti all’incesto annaspano in un gigantesco fiume di sangue, presumibilmente il loro.
Due curiosità.
Il titolo è l’acronimo del romanzo Pierre ou les ambiguites (1852) di Herman Melville.
Quando Pierre entra nella fabbrica in disuso vediamo un tizio biondo dirigere una specie di orchestra. Quel tizio è Šarūnas Bartas che ricordo essere stato il compagno della Golubeva morta il 14 agosto 2011. Tra Carax e il lituano pare esserci un certo feeling poiché anche il regista francese ha avuto a sua volta un cameo in un film dell’amico: The House del 1997.
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