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Poli-valenze

Creato il 26 giugno 2011 da Ilpescatorediperle
Il Corriere della Sera di questa mattina offre una messe sorprendentemente ricca di pezzi interessanti. O almeno, ricca per un quotidiano che ha la linea cultural-politica di una gelatina di lamponi e nuovi caratteri tipografici che lo fanno somigliare in modo impressionante a Il Giornale. Si tratta di tre articoli: un'intervista al mio idolo Paolo Poli; un'intervista al mio idolo Ginevra Elkann; un intervento del Nobel nigeriano Wole Soyinka sulla menzogna in politica (con un titolo italiano che non c'entra un tubo, secondo la nota tecnica "rimaneggia le ultime due righe del pezzo"). Sulla cara Ginevra rimando ad un Mattia di tempo fa. Su verità e menzogna in politica c'è fin troppo da dire e in modesta parte, per quel che vale, lo feci in passato. Vorrei dire due (sivabbè) parole al riguardo del primo testo.
Ora metto gli asterischi separatori à la Scalfari: sarò altrettanto soporifero.
***
Il primo pezzo è un'intervista a Paolo Poli di Aldo Cazzullo. Ora, sta diventando una specie di tradizione del Corriere: parlo dell'intervista-a-Paolo-Poli-quando-c'è-il-Gay-Pride. Che, ovviamente, ha un sottoinsieme in comune con l'insieme delle interviste-frizzanti-di-Aldo-Cazzullo. Paolo Poli è uno dei miei pochi miti personali. E' uno straordinario attore. E' un distinto signore avanti con l'età. E' un intellettuale. E' una persona dalla cortesia cinese e dall'ironia affilata. Al di là dei suoi calembour, è un individuo estremamente riservato (reticente, direbbe Valeri. E' interessante come Paolo e Franca, i due grandi del teatro italiano vivente, abbiano scelto entrambi un riferimento all'esser bugiardi come titolo delle proprie "autobiografie". Loro, che, pare, hanno sempre detto la verità). Insomma, Paolo Poli andrebbe trattato con grande rispetto. E' una delle poche glorie nazionali ancora in circolazione (non mi risulta che sia andato al Valle con un tazebao). Chiamarlo in causa solo quando c'è un gheipraid è, con un eufemismo, un poco riduttivo.
Poli fa la cosa migliore che si dovrebbe fare quando si parla della/e propria/e identità: riderne. Lo fa da sempre. Mette in gioco se stesso, con un'affabulazione che passa dal pelo di King Kong a Dante (senza dare lezioni ad un pubblico pagante, come fa un altro, quello che ha vinto gli Oscar alla vergogna). Insomma, è una persona colta. Questo fanno le persone colte. Non: "mo' te parlo de Wagner", ma trascorrere come niente fosse da un aneddoto all'altro, con leggerezza, dimostrando, a chi vuol capire, quanto ne sanno. Senza sforzo. Credo che sia l'unico, assieme a Nanni Moretti, ad aver sbeffeggiato con due parole la cortigianeria di Fabio Fazio. Paolo Poli è uno dei miei pochi miti personali da quando, da bambino, ascoltavo la sua versione de Il Mago di Oz. Uno che sa fare la voce del leone e dell'omino di latta e di Dorothy, merita il mio assoluto apprezzamento. Se è un'icona gay, Il mago di Oz lo è per me senza riferimenti di sorta a Judy Garland e alle sue scarpette rosse (tanto nel libro sono d'argento. Sì, esistono anche i libri e gli attori di teatro, o voi che pensate che la "cultura gay" sia un'invenzione di Lady Gaga). Il teatro per me è venuto dopo.Paolo Poli ha messo in chiaro le cose - in tempi al riguardo più complicati, di sicuro meno sguaiati dei nostri - senza alcuna dichiarazione a mezzo stampa. Ha vissuto la propria omosessualità come un dato di fatto come gli altri. Il che ha poco a che vedere con la retorica del "sii te stesso" e molto invece con l'appello "conosci te stesso". O forse, semplicemente, ha fatto quel che gli è andato di fare.Paolo Poli ci potrebbe prendere per il naso e mangiare gli gnocchi in testa - o qualunque altra espressione idiomatica coinvolgente parti anatomiche si usi - quando vuole. Se il registro è ironico (forse, anche, un poco malinconico), tanto meno le interviste-a-Paolo-Poli-quando-c'è-il-Gay-Pride vanno prese come oro colato. O meglio: non vanno prese per qualcosa di più di quel che sono. Poli parla in prima persona, dice quel che pensa per sé. Poli non vuole sposarsi? Va bene, Poli non vuole il matrimonio. Ha a che fare con il fatto di essere omosessuale? Ha a che fare con il fatto di essere Paolo Poli, credo. Le interviste-frizzanti-di-Aldo-Cazzullo, invece, trascolorano con facilità dal particolare all'universale. Se non lo vuole Paolo Poli, non lo deve volere nessuno. E' un po' come il caso di quelle giornaliste sbarazzine che scrivono: perché le unioni gay, nessuno dei miei amici omo le vuole. I filosofi hanno creato molti problemi al genere umano con i passaggi troppo rapidi dal particolare all'universale. Forse sarebbe meglio avere rispetto (amore?) del particolare. Altrimenti si cade in quella peculiare forma di fascismo che è fare di ogni erba un fascio. Col particolare e l'universale, meglio allora giocarci. Ma giocare è la cosa più seria del mondo. Va bene se si è Woody Allen e si vuol fare una battuta capolavoro ("Possiamo davvero conoscere l'Universo? Mio Dio, è già così difficile orientarsi a Chinatown.") Se si è "opinionisti", è una mossa scorretta (che fa comunque ridere, ma in un senso affatto diverso da Allan Stewart Königsberg).In ogni caso, quel che mi interessa di questa intervista non sono le posizioni personali di Poli, ma il fatto che egli prenda in giro chi gli fa le solite domande banali "sulla sua condizione". Parla di Pasolini, di Visconi, di Zeffirelli, di Brando, ecc. - di un bel pezzo, insomma, del mondo culturale che ha conosciuto personalmente e che era anche omo o bisessuale, per quello che questo era - generoso, indifferente, isterico, sia come sia - senza mai mettere tutti in unico cesto del bucato, quello del "mondo gay", ma separando i delicati dai colorati, i neri dai bianchi; senza per questo non capire che sì, c'era poi anche un fil rouge che li legava tutti assieme - il gerontofilo Montgomery Clift e il borgatari-oriented PPP.A me sembra che qui ci sia una lezione (più precisamente: un esempio) di come vivere e parlare delle identità. Sennò ci rimangono i soliti "però anche Leonardo", "però anche Alessandro Magno", "e il De profundis di Oscar Wilde" (come fa l'Oscar alla vergogna, insomma). Che è anche un modo sbagliato di vedere la cosa. Limitandoci alla letteratura, io penso che Edward Morgan Forster sia stato un grandissimo scrittore. Ma non perché ha scritto Maurice o perché era omosessuale. Ma perché ha scritto cose meravigliose tra cui anche Maurice ed essendo anche omosessuale. Come probabilmente era Henry James (se non altro perché altrimenti non si capisce come sia potuta uscire Isabel Archer dalla sua ciribiricoccola). Come di sicuro era Christopher Isherwood, che ha scritto uno dei più bei romanzi della storia del romanzo, Un uomo solo - prima che Tom Ford lo vestisse e lo mettesse nel congelatore con i toast. Ma pensare di prendere tutto questo e molto altro (non fatemi parlare, che so, di Alan Bennett, sennò faccio notte, o di David Leavitt, o di Gore Vidal, o di Wystan Auden, o di ...) e di metterlo nella scatola della "letteratura gay", è un equivoco, un espediente che non aiuta. Io penso che se gli omosessuali vogliono avere i loro diritti e vogliono essere considerati come tutti gli altri nella vita di ogni giorno, credo che risucchiare in un vortice prestabilito questo incomparabile patrimonio culturale, con una bollinatura ad hoc e d.o.c. (scusate), sia, oltreché sbagliato, anche controproducente. E' proprio il fatto che certi grandi esempi appartengono a tutti che rende interessante mostrarne il valore: non hanno un valore (solo) inquantogay. Tra l'altro, i succitati erano o sono omosessuali. Non so se fossero o siano "gay". Non lo so, è un tema talmente scivoloso che rischiamo di rimanerci impaniati, e magari io non vedo abbastanza chiaramente; tuttavia penso che dovremmo renderci tutti conto che criticare un dispositivo culturale discriminatorio creando un altro dispositivo culturale non è mai un'operazione innocente: ogni contesto è una soglia di inclusione-esclusione, e la soluzione non è mai il totalitarismo insito nel cercare un contesto assoluto, ma mettere i contesti in rete. Cerco di chiarirmi: se si fa un lavoro sulle identità, poniamo sull'identità omosessuale, proponendo la chiave interpretativa della "letteratura gay", del "cinema gay" ecc., va benissimo se è una strategia che permette di farsi capire meglio e di dare dignità ad uno o più punti di vista offesi. Ma è inevitabile che ciò significhi comunque creare un recinto, e che, come in ogni recinto, qualcuno o qualcosa rimanga fuori o venga introdotto surrettiziamente, come se quello fosse l'unico recinto possibile in cui collocarlo.
Ascoltare i grandi, i "grandi omosessuali", se volete, come Paolo Poli, ci mostra, invece, come, in fondo, siamo tutti irrecintabili. E come sia proprio questo il motivo per cui ciascuno di noi nasce libero ed uguale in dignità e diritti. Così, il punto non è "il matrimonio gay", ma la possibilità di scegliere di unirsi ad un'altra persona con il relativo corpus di diritti e doveri, che si sia omosessuali, bisessuali, transessuali, eterosessuali, sia come sia. Ecco, io penso che, piuttosto che insistere nell'inaugurare nuovi steccati identitari, dovremmo liberarci una volta per tutte dell'identità e vedere come il mondo è vario, è plurale, come siamo tante identità insieme, come, alla fine, ciascuno è il suo nome e cognome, perché non c'è se non la conoscenza personale a dirti chi è qualcuno. Che Paolo Poli è Paolo Poli, che Mario Bianchi e Maria Rossi sono Mario Bianchi e Maria Rossi, siano quello che siano. E magari ci scherziamo anche sopra, via.
Poli-valenzeda TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com

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