Anna Lombroso per il Simplicissimus
Beh, ma dico io, l’Europa mica vorrà negarci il generoso contributo, cui peraltro abbiamo ampiamente concorso, dopo che abbiamo simbolicamente dimostrato la considerazione che riserviamo ai nostri tesori d’arte, nominando come testimonial di Pompei l’erede Savoia, quello dei sottaceti, quello che balla, quello che va nelle isole, quello che partecipa al Festival di Sanremo, insomma un italiano vero, come canterebbe il collega Toto Cotugno.
Eh si, perché c’è il rischio concreto, confermato dall’immancabile rito collettivo della firma in calce alla petizione, che perdiamo il fondo stanziato dall’Ue, che, insieme alle risorse nazionali dovrebbe finanziare il piano di risanamento di Pompei.
Avevamo già osservato che l’invisibile ministro Bray era ancora più taciturno, scialbo e inespressivo del suo predecessore e ci eravamo chiesti se non fosse un bene, in un settore dove negli ultimi anni chi operava, lo faceva allo scopo di peggiorare lo stato delle cose. Speravamo che l’unica bizzarria riconoscibile del ministro fosse quell’ipsilon finale, invece c’è in lui un fattore x inquietante, quella inoperosità, quell’indecisionismo, quell’inazione, spiegabili solo con una recondita indole al crimine nei confronti dei nostri beni culturali, sui quali dovrebbe invece vigilare e che dovrebbe custodire.
È ormai alle porte infatti il 9 dicembre, scadenza entro la quale lo sbiadito titolare del Mibac dovrebbe nominare il Commissario straordinario per Pompei, figura irrinunciabile nel Paese dove è emergenza anche l’autunno per non dire dell’inverno, incaricata di predisporre entro San Silvestro il piano che garantisce al sito il marchio Unesco di “patrimonio dell’umanità”.
Oddio magari l’umanità lo considererebbe tale, se ne facessimo parte anche noi italiani, una collettività confusa alla quale partecipano cittadini virtuosi e preoccupati della tutela della bellezza, ma anche ministri occasionali e improvvisati, indecisi se sia meglio un tecnico o un manager, con evidente predilezione per quest’ultima tipologia, da scegliere magari tra banchieri, esperti di derivati, dirigenti di aziende paninare, come è già successo con risultati accertabili. Ma anche varie gerarchie di mafiosi e camorristi, che, in sintonia con alcuni vivaci ceti popolari, ha valorizzato il sito con insediamenti abusivi, new towns servite da opportune discariche. Per non dire di funzionari dedicati a sorveglianza e vigilanza intermittenti e telecomandate a distanza. O di infiltrati incaricati di agevolare crolli e erosioni in modo da favorire l’arrivo di inquietanti e disinvolti mecenati, non proprio disinteressati.
Tutto gira intorno a quella ghiotta torta di 105 mln Ue, non moltissimi per un posto che crolla come una castello di carte, ma che forse potrebbero contribuire a salvarlo attuando quelle arcaiche ma infallibili misure di manutenzione quotidiana che hanno permesso, una volta svolta l’opera della cenere, di conservare un patrimonio unico al mondo, fino a una ventina di anni fa. Perché poi sono coincisi cultura dell’emergenza come sistema di governo e spettacolarismo, spingendo verso scelte futuriste, improbabili, di alto valore mediatico e bassissima efficacia tecnica, culminate nel Grande Progetto Pompei (GPP), Gran Patacca Prendiperifondelli, pensata con lo stesso approccio adottato per l’Aquila, fare di un sito storico una smart city, anche quella con la ipsilon finale a dare il senso del dinamico e globale futurismo, un’operazione da realizzare grazie a 4 ministeri, la presidenza del Consiglio, Invitalia che non manca mai e la prefettura antimafia a vigilare sui bandi perché, qualcuno disse allora, quelli di Pompei non dovevano essere inquinati dalla camorra. Mentre invece gli altri sì?
Partorito dalla stessa matrice della Grandi opere il GPP tutto sinergie, scenari più virtuali che virtuosi e sceneggiate acchiappa citrulli non aveva convinto l’Unesco che, l’estate appena trascorsa, con un velenoso rapporto lancia un ultimatum al governo minacciando di togliere il patrocinio al sito.
È allora che il governo della maiuscole, quello del Fare, dclle Semplificazioni, estrae dal cilindro il decreto Valore cultura, che propone appunto la figura demiurgica di un direttore con ampie deleghe e connesse deroghe, secondo quella nevrotica e compulsiva attività normativa che promuove icone eccezionali e interventi straordinari, incaricati di assicurare immobilità in attesa di eventi e sponsor provvidenziali. In questo caso al plenipotenziario unico e speciale venivano affidate due missioni: la prima “ fare (dopo tanto pensare), e la seconda fare in fretta”, affiancato da una equipe di 20 esperti più 5 tecnici. I risultati li vediamo. Non vorremmo che tocchi sperare, come facevano gli ultras leghisti, in una colata lavica del Vesuvio che rimetta in ordine le cose, ricoprendo Pompei con la cenere prima che sia seppellita dalla vergogna.