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Posta da makambako (tanzania)....

Creato il 06 luglio 2011 da Marianna06

Lettera agli Amici

 

   LA  CAMICIA VERDE....(ma la LEGA non c'entra!)

 

“Io sono per il partito della pagnotta!” esclama in Piazza del Popolo un romano burlone,

ma non troppo. I suoi antenati, due millenni prima, avevano già sentenziato: primum vivere,

deinde philosophari (prima vivere, poi filosofare). Però l’espressione non è dei latini,

bensì dei greci e, precisamente, del rinomato filosofo Aristotele.

Dunque: greci e latini remano sulla stessa barca di fronte al problema cruciale di tirare

o non tirare la cinghia. E, giacché tutto il mondo è paese, in Tanzania si cita il proverbio:

“Le parole non riempiono la pignatta!”.

 

Cari amici, sono passati sette mesi dal mio arrivo a Makambako in Tanzania. Sette mesi,

come “i sette vizi capitali”. Parlo di “vizi” (secondo il catechismo di un tempo),

perché in terra straniera è costante la tentazione di “peccare”, criticando e condannando il diverso.

Invece è saggezza confrontarsi e godere del fenomeno della diversità. Il relativismo culturale

è una ricchezza: significa che ogni cultura è differente e complementare, con pregi e difetti propri.

Da qui il valore dello scambio culturale o interculturalità.

Ma quanto è difficile pensare ed affermare che anche le persone di Makambako non sono

né peggiori né migliori di quelle di Trevignano (dove sono nato) o di quelle di Roma (dove

ho studiato) o di quelle di Torino (dove ho vissuto 35 anni).

Sette mesi sono trascorsi, come “i sette doni dello Spirito Santo”. Fra questi c’è il “sapere”.

In Tanzania si chiama elimu, che significa pure istruzione, studio, informazione, lettura.

 

Il 17 gennaio scorso partivo per l’Africa, con nella valigia un solo un libro in italiano: la Bibbia.

A Milano Malpensa, prima di imbarcarmi, fui tentato di comprare Il Corriere della Sera. Ma dissi:

“No, d’ora in poi leggerò solo testi in swahili, anche se capirò pochissimo”. Fin dagli inizi

volevo immergermi completamente nell’ambiente socioculturale del Tanzania, valorizzando

le locali risorse di conoscenza.

Giunto a Makambako, feci subito due passi in “città”. Passai davanti ad una congerie di negozietti caotici e baldanzosi, dove si vendeva di tutto: dalla carta igienica alle schede per il cellulare,

dai gemelli d’oro per i polsini della camicia alle mutande di seta rosa.

Cercai a lungo una libreria. Eccola finalmente! Ma di libri nemmeno lo scaffale.

- Dove posso comprare un libro per conoscere la storia del Tanzania? - domandai.

- Non lo so - rispose la commessa dopo un prolungato ed imbarazzato silenzio.

Sembrava che le avessi chiesto il biglietto per andare sulla luna.

- Esistono altre librerie in città?

- Non lo so.

Povera ragazza! Come poteva saperlo? A Makambako i libri non esistono proprio: neppure

se li cerchi con la lanterna di Diogene. Pensai a mio padre Marino, che diceva: “Se non leggo qualcosa ogni giorno, divento un orso!”. Leggere, però, è faticoso, perché fa riflettere.

E riflettere è rischioso, perché “l’uomo è un mendicante quando pensa ed è un dio quando sogna”.

Lo scrisse il poeta tedesco F. Holderlin.

Rincasando deluso, mi venne in mente Julius Nyerere, il primo presidente del Tanzania,

che nel 1967 scriveva: “Tutte le risorse del paese devono essere impiegate per eliminare la povertà, l’ignoranza e la malattia”. Oggi, a 50 dall’indipendenza della nazione, la radio ripropone

tutti i giorni quelle parole. Infatti sono di una attualità scottante.

La povertà antropologica è una morte anticipata. Inoltre è alienante dover sempre e solo parlare

di piogge scarse, di raccolti miseri, di prezzi alle stelle. E di soldi, che non ci sono.

Anche parlare è pensare. Meglio sognare?

Del resto: come puoi pretendere discorsi “alti” in Tanzania? Primum vivere, deinde philosophari!

 

Voi, cari amici, mi chiedete costantemente: “Ma tu, come stai? Parla di te stesso, esprimi

i tuoi sentimenti. Hai superato, dopo sette mesi, lo strappo dall’Italia? Sei pentito di essere partito?

Hai preso la malaria?”.

No, non ho preso la malaria. Il che non è poco. Significa che le condizioni ambientali

sono migliorate, almeno a Makambako. E poi, mentre in Italia ero ultimamente accigliato,

perché i pantaloni si facevano stretti con il crescere della pancia… in Tanzania non stringono più.

Altro che cura dimagrante!

Pentito? No. Deluso? Non lo so. Anche la ragazza della libreria senza libri rispose così.

La strada per entrare nel cuore dei tanzaniani è ancora lunga, e tutta in salita.

Talora la sensazione di non farcela cresce, come un’onda minacciosa.

 

La povertà-ignoranza-malattia avanza a piedi scalzi su strade polverose e accidentate.

La precarietà cresce nei colpi di tosse lancinanti. Il disagio sconfina negli sguardi amorfi

dei malati di aids.

Scrivendo questo, so di essere patetico, perché faccio suonare il solito ritornello “strappa lacrime”, noioso come un disco rotto d’altri tempi.

Orbene: è tutto un circolo vizioso di parole consunte? Eppure, nelle chiese dei villaggi

di Makambako, le donne scalze sono vere e i bambini che tossiscono le riempiono!

“Venite a me voi tutti che siete stanchi ed oppressi, e io vi darò ristoro” (Matteo 11, 27).

Meno male che Lui non si vergogna a dirlo!

 

Ieri pomeriggio celebrai la Messa presso una comunità di base. Una preghiera sentita,

con una quarantina di persone sul cortile di una abitazione, fra altre case povere e meno povere. Sopra le teste sventolavano bandierine festose e panni di ogni foggia, stesi ad asciugare.

Al termine, una cenetta. Da un pentolone colmo di spaghetti al peperoncino, già tagliati corti,

ognuno attinse la sua porzione (anche abbondante), che consumò servendosi delle mani.

Risate fragorose i uomini e trilli allegri di donne. E per me una sorpresa:

il regalo di una smagliante camicia verde Made in Italy.

Dormii pochissimo quella notte. “Pensavo” a quella camicia verde, il cui prezzo era pari

ad un mese intero di lavoro di un tanzaniano.

 

p. Francesco Bernardi

Makambako, luglio 2011

 

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