Preme la luce indifferente, forando nubi, in raggi e morbide volute,
e si corre fino al suolo,
per tanta bellezza, schiantato, e muto.
Procede la luce, d’ inesorabile sua forza,
serena tra bambagia spessa e riflettente,
e chiede forse?
Nulla, non chiede nulla, arrogante d’essere.
Come chi?
Nell’arroganza d’uomini c’è bisogno d’oggetto,
sia esso amore od odio, serve,
solo l’indifferenza che ferisce e uccide non si tollera,
come bellezza ch’ ha bisogno di parole per esser diluita.
E la luce, in sublime noncuranza, mostra sé,
nuda di vibrazione nell‘impudica bellezza,
nuda ed indifferente, scava,
con corpuscolare natura, l’acqua e gli occhi nostri,
che finti disattenti aprono bocche ed inghiottono nervosi,
in attesa d’un sole finalmente sfacciato e umano.
Un sole che non è luce, ma oggetto
che si può amare e odiare,
un sole che scaldi e metta in ordine i colori,
o mostri le nostre malinconie di riottosa vita piena.
Un sole che non è luce, ma colore
che percuote di calore e radiazione sporca,
e non l’inconsistente luce,
che non si piega ad un sentire nostro, come la bellezza
che pur sentita, distoglie l’occhio per non essere compresa.
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