Perché sottolineare allora questa lontananza che non dice nulla di nuovo? Perché nelle ultime settimane le parole "Lampedusa" e "Oslo" sono finite spesso nella stessa frase. E la frase è la fatidica candidatura dell'isola al premio Nobel per la Pace. Lodevole iniziativa che, con una raccolta firme e petizioni online, promosse dall'Espresso con l'autorevole e credibile appello di Fabrizio Gatti, ha decretato, da parte degli italiani, che Lampedusa meriti di finire sul tavolo del Comitato norvegese. Lampedusa merita rispetto e il riconoscimento di un grande impegno dei suoi cittadini, della sua amministrazione, della sua gente, pure dei suoi turisti, di fronte a quella che soprattutto la mia categoria si ostina a chiamare "emergenza immigrazione".
Da questo modesto blog – non sono altro che uno scribacchino, un pennivendolo, un giornalaio – vorrei solo far notare due cose. La prima: la candidatura al Nobel più "politico", in sostanza, non vuol dire nulla. Basta che ci sia qualche docente di diritto o di scienze politiche, parlamentari o membri di governi a proporla, e la candidatura può arrivare a Oslo. Essere tra i nomi suggeriti non significa affatto che ci sia una reale opportunità di vincere il premio. Anche perché ufficialmente non esiste la categoria "nominato al premio Nobel per la Pace". Sta al Comitato decidere. E tra le 25 istituzioni che hanno vinto finora non c'è mai stata una città... L'unico italiano, per la cronaca e la storia, è stato il giornalista e patriota Ernesto Teodoro Moneta, premiato nel 1907.
Ma il punto più importante è il secondo. Al di là del premio di un milione e mezzo di dollari, perché dovrebbe essere fondamentale che il sindaco Giusi Nicolini trovi un modo per arrivare a Oslo, superando quella distanza incolmabile, e ritirare quel premio? Ripeto, Lampedusa merita rispetto, ma forse più che i riconoscimenti dovremmo tributarle riconoscenza. Insomma, comprendo che governo e parlamento vogliano richiamare le istituzioni internazionali alle loro responsabilità, ma oltre a coinvolgere Bruxelles, Strasburgo, Oslo, Ginevra, New York, Tripoli, il Vaticano e un'altra mezza dozzina di città nel mondo, sarebbe ora che anche Roma torni a fare il suo lavoro. Non la sto buttando in politica. Però prima di "elemosinare" (lo virgoletto perché non voglio essere irrispettoso) qualcosa ai nobeliani norvegesi, dovremmo ricordarci, noi italiani che dei lampedusani siamo connazionali, che nel 2004 abbiamo dedicato all'isola un nastro o una coccarda – tanto per limitarci ai premi e alle cerimonie. Il 2 luglio l'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi conferiva al Comune di Lampedusa e Linosa la medaglia d'oro al valore civile. Cito testualmente le motivazioni:
L'Amministrazione comunale affrontava ed offriva un lodevole contributo al superamento delle innumerevoli difficoltà legate all'ondata di sbarchi clandestini di cittadini extracomunitari, impegnando i propri apparati socio-assistenziali e considerevoli risorse economiche. La popolazione tutta dava testimonianza dei più elevati sentimenti di umana solidarietà ed accoglienza verso gli immigrati, riscuotendo l'incondizionata ammirazione e gratitudine del Paese. 2001/2003 Lampedusa e LinosaDunque stiamo parlando di dieci anni fa. Poi nel 2012 Giorgio Napolitano ha elargito medaglie d'argento ai Carabinieri, alla Guardia Costiera, ai Vigili del Fuoco, all'Aeronautica e alla Guardia di Finanza. Anche loro, effettivamente, meritevoli nella gestione di quella "emergenza". Ormai le medaglie sono andate, conferite e raccolte in qualche bacheca. Ma non significa che l'Italia abbia esaurito il suo ruolo e i suoi compiti, mettendosi a posto la coscienza, lavandola con un nastrino tricolore e un pezzettino di metallo pregiato.
Oslo è lontana e non fa neanche parte dell'Unione Europea. Quella stessa Ue che ha preferito coltivare una strana politica estera e dare soldi alle Fiji, alle Samoa o a Barbados. Dimenticando magari altre isolette meno esotiche.