Giacchè mi occupo di adolescenti, disagio e prevenzione del disagio minorile, ho trovato molto interessante il progetto effettuato dalle tre psicologhe che hanno redatto l’articolo che riporto qui di seguito. Hanno istituito uno “Sportello d’ascolto” cui vengono indirizzati tutti i giovani fra i 14 e i 24 anni che giungono al Servizio, dopo essere stati ricoverati a seguito di incidenti. Si tratta del Pronto Soccorso dell’Ospedale S. Eugenio, ASL RMC di Roma.
Ritengo che questa iniziativa debba diffondersi in altri Pronto Soccorso in Italia; è un servizio molto importante che potrebbe ridurre sensibilmente la statistica relativa agli incidenti dei giovani nella fascia d’età sopracitata.
L’ADOLESCENZA SULLE ALI DI ICARO
Articolo di Paola Carbone, Elisa Casini, Anna Ferrari
Psicologia Contemporanea – n. 220 – Luglio/Agosto 2010- Ed. Giunti (Firenze-Milano)
I giovani, a causa dei loro comportamenti rischiosi, si trovano spesso coinvolti in incidenti. Si tratta di “normale” sventatezza giovanile o gli incidenti sono la manifestazione di un disagio?
La storia di Icaro appare attualissima nella sua trama relazionale e ben rappresenta il prototipo di tante storie di adolescenza, rischio e trasgressione. Se tutti sanno bene come andò la vicenda dell’evasione dal labirinto di Minosse, grazie alle celebri ali di cera, non tutti ricordano che Icaro, già in precedenza, si era messo seriamente nei guai. Icaro era nato e cresciuto ad Atene dove viveva solo con la madre, dato che da anni il padre Dedalo, architetto di grande fama, era stato chiamato a Creta per realizzare la reggia e il celebre labirinto. Secondo il ben noto copione del figlio unico di una madre single, sembra che Icaro, con l’adolescenza, fosse diventato piuttosto ribelle e tra uno stravizio e una rissa si era trovato coinvolto nella morte di un altro giovane. Accusato di omicidio, fu spedito a Creta dal padre per sfuggire alla giustizia e forse anche con la speranza che un po’ di autorità paterna lo aiutasse a mettere la testa a posto… Sappiamo che non andò proprio così e a tutti è nota la sua triste fine. L’adolescenza è caratterizzata da uno stato di transitoria disorganizzazione psicosomatica che spinge il giovane a mettere alla prova le sue potenzialità. Tuttavia, mentre la disorganizzazione adolescenziale allo stato “naturale” ha breve durata, nella nostra civiltà industrializzata il passaggio dall’infanzia alla maturità è molto protratto e questo comporta un aumento dell’esposizione ai rischi. Inoltre la finalità del comportamento rischioso, in un tempo così protratto, non sempre è adattiva (apprendere dall’esperienza), ma spesso è compulsiva o autodistruttiva. Pertanto, se è vero che i giovani devono rischiare, è anche vero che c’è rischio e rischio, e che la differenza va di volta in volta discriminata. Tra i comportamenti rischiosi giovanili si colloca in primo piano, per frequenza e pericolosità, l’incidente (i dati nazionali ISTAT relativi al 2007 segnalano più di mille morti l’anno e più di 80. 000 feriti nella fascia d’età 15-24 anni). Il termine “incidente” implica nella sua etimologia qualcosa di casuale, “accidentale”, e diversamente da alcune azioni giovanili che suscitano preoccupazione negli adulti (uso di sostanze, diete estreme, azioni autolesive), l’incidente non viene quasi mai considerate come il segnale di un bisogno, ma come semplice espressione della normale sventatezza giovanile. A partire da una prospettiva psicodinamica e da una lunga esperienza di lavoro clinico con adolescenti, abbiamo formulato l’ipotesi che nella maggior parte degli incidenti entrino in gioco non solo fattori esterni, ma anche fattori emozionali consci (sfida, ricerca di sensazioni forti, bisogno di esibirsi) o inconsci (depressione, autolesionismo) che fanno dell’incidente “l’agito” attraverso il quale possono esprimersi diverse problematiche adolescenziali. In particolare, lo sfondo depressivo e il sentimento di fatalità sono due parametri che spesso lo caratterizzano.
Con l’aiuto di alcuni “flash clinici”, tratti da colloqui con ragazzi ricoverati, vorremmo illustrare, innanzitutto, due modalità fondamentali di espressione della depressione adolescenziale, l’incidente come “caduta” depressiva e l’incidente come “fuga in avanti”, ovvero come espressione di un quadro maniacale, e successivamente l’incidente inteso come “fatalità”.
L’EMANCIPAZIONE
L’incidente di Franco, 15 anni, ricoverato per una frattura alla gamba, è uno di quegli eventi banali che siamo abituati ad attribuire al caso o alla cattiva manutenzione stradale. Franco spiega che tornava da scuola e – non sa bene come – il motorino è slittato sulle rotaie del tram. Egli comunica con distacco che il padre è gravemente malato di cancro e afferma: “Se ho problemi me la cavo da solo… mio padre sta male e non deve essere disturbato…”. Indifferente alla frattura alla gamba, Franco appare invece preoccupato per la rottura del motorino, grazie a cui è riuscito ad entrare a far parte di una comitiva “dove tutti hanno il motorino e non si può stare senza”. Il motorino è il simbolo dell’emancipazione: mezzo per accedere al mondo dei pari e, al tempo stesso, per separarsi dal legame con gli oggetti genitoriali. E’ tangibile lo sfondo depressivo sul quale si è verificato l’incidente, come se l’intrecciarsi della propria emancipazione alla malattia mortale del padre mettesse radicalmente in discussione il progetto evolutivo di separazione ed individuazione: cadendo sulle rotaie e fratturandosi la gamba, Franco sembra aver messo in atto una battuta d’arresto che indica una difficoltà a vivere la propria adolescenza.
LA FUGA IN AVANTI
Una modalità tipica di manifestazione della depressione in adolescenza è quella reattiva, caratteristica dell’atteggiamento ipomaniacale: l’incidente appare in questi casi caratterizzato dalla dinamica della “fuga in avanti”.
Carlo, 16 anni, ha riportato una frattura al femore destro in uno scontro in motocicletta. Tutto il colloquio si svolge in un’atmosfera ipomaniacale: “Di notte ero con la moto di mio fratello, senza casco, con me c’era un amico, era tardi e correvamo perché dovevamo aprire la discoteca. Ad un incrocio, per non rallentare, e per capire se veniva una macchina da altre direzioni ho spento i fari. Ho pensato che se non vedevo i fari delle altre macchine non passava nessuno e cosi ho attraversato l’incrocio senza rallentare. Da destra ne è arrivata una, il mio amico ha gridato, io gli ho detto che l’avrei salvato, ho scalato, piegato con la moto, ma è partita con il posteriore, lui è schizzato via senza farsi niente, io invece…”. Carlo descrive l’incidente come se narrasse la conquista di un trofeo e applica lo stesso meccanismo di negazione trionfalistica a tutta la sua vita: alla scuola che va male, ai rapporti difficili con i compagni, all’assenza di una ragazza. Dichiara che le sole figure significative della sua infanzia sono state le baby-sitter. Rievoca però un sogno ricorrente che faceva da bambino e che ha tutt’ora un profondo significato: “Cadevo dall’alto, non so da dove, ma cadevo e stavo per sfracellarmi”. Un sogno che ben rappresenta l’assenza di confini della sua vita e richiama fortemente la dinamica dell’incidente, cioè un vero e proprio tuffo nel vuoto.
UNA FATALITA’
Un’altra possibilità di lettura dell’incidente è quella della sua apparente casualità e, agli occhi dell’adolescente, della sua “fatalità”.
Anna, 16 anni, è stata ricoverata per distacco del legamenti crociati del ginocchio destro. Quando la psicologa le propone il colloquio, Anna risponde irritata: “Parlare di cosa?”, lei non ha bisogno di niente. Solo dopo ripetuti chiarimenti accetta di rispondere a qualche domanda e pian piano emerge il racconto di un trauma in due fasi: prima la caduta dal motorino (“chissà come, forse una buca”), caduta dalla quale Anna sembra uscire indenne e poi, pochi giorni dopo, in seguito ad un urto da niente, il dolore acutissimo, il ginocchio gonfio, la diagnosi e il ricovero. Anche parlando della sua famiglia Anna dice che “è tutto normale”; racconta poi che suo fratello maggiore si è sposato e ha avuto un bambino. “Un importante cambiamento!”, sottolinea la psicologa; Anna non dice nulla ma d’improvviso scoppia in lacrime e singhiozzando sussurra: “E’ morto, è morto! Mio fratello è morto!”. E’ caduta una barriera e Anna può finalmente dire che il fratello – quel fratello di cui stava parlando come se fosse ancora vivo e vegeto – era morto sei mesi prima in un incidente stradale avvenuto dopo una lite con i genitori. Il colloquio a questo punto cambia registro e Anna può esprimere i sensi di colpa che fino ad allora erano stati repressi: “Parlare fa bene!”, esclama.
“PREVENZIONE ATTIVA” AL PRONTO SOCCORSO
Incontrare i ragazzi ricoverati per gravi incidenti ci ha dato la misura dell’importanza dell’ascolto al fine di attivare un’elaborazione dell’accaduto. Elaborazione indispensabile per evitare che i problemi psicologici che potrebbero averlo indotto vengano cancellati dalla “realtà somatica” dell’evento, innescando una spirale cieca di agiti in cui la ripetizione si sostituisce alla possibilità di elaborazione. Per questo il nostro annuale impegno è al Pronto Soccorso (PS), dove ogni anno giungono migliaia di ragazzi incidentati. Dal 2002 abbiamo costituito al PS dell’Ospedale S. Eugenio di Roma uno sportello d’ascolto a cui vengono indirizzati tutti i giovani fra i 14 e i 24 anni che giungono al Servizio.
L’obiettivo è duplice:
1) capire le ragioni che possono aver “spinto” un giovane al PS attraverso il colloquio clinico in forma semistrutturata e un questionario diagnostico autosomministrato (SCL-90-R; Derogatis, 1977);
2) fornire ai ragazzi l’opportunità di esprimersi e riflettere su di sè per elaborare l’accaduto e fare il punto sulla propria vita. I ragazzi che vanno al PS trovano una risposta medica competente, ma strettamente limitata al danno somatico. L’intervento medico è tempestivo ed efficace, ma rischia di trasformare gli eventuali problemi esistenziali in una ferita, una distorsione, una frattura, “guaribili in tot giorni”. E allora i ragazzi, se non capiti, rischiano di tornare al PS. Dei 348 ragazzi (169 maschi e 179 femmine) intervi-stati dal 2002 ad oggi (Carbone, 2005; 2009), ben il 76%, infatti, ha riferito di aver avuto precedenti esperienze di accesso al PS.
Ecco due casi.
Alessandro, 23 anni: “Nell’ultimo anno sono venuto due volte al PS a causa di incidenti con la moto e mi sono rotto i legamenti… un conto totale? Almeno quindici volte, sempre a causa di incidenti con la moto… molti se la cercano, forse anch’io perche faccio cose per cui la probabilità di farsi male cresce, mi piacciono le emozioni forti e le provo solo facendo attività rischiose”.
Anche Giovanni, 24 anni, elenca con disinvoltura le sue “ferite di battaglia”: “Una volta mi sono rotto la caviglia cadendo dagli sci, un’altra volta mi sono fratturato il braccio cadendo dal motorino, mi sono fatto male ad un occhio cadendo dallo snowboard, poi ho sbattuto la testa cadendo dalla bicicletta. Ci sono anche altri episodi, ma non me li ricordo tutti, sono tanti! Sono sempre stato un tipo vivace, ho fatto una vita un po’ spericolata”.
Lo Sportello-Giovani si colloca nell’ambito di un nuovo modello di prevenzione attiva; “attiva” sia perché ci proponiamo di andare attivamente incontro ai giovani, sia perché intendiamo renderli parte attiva, soggetti del processo preventive e quindi della loro vita. Lo Sportello-Giovani offre dunque ai vari Icaro che piombano al PS una corsia preferenziale per interrompere il gioco collusivo e non rimanere impigliati nel “labirinto” del Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DBA). Il colloquio “a botta calda”, appena avvenuto l’incidente, quando la realtà ha fatto breccia nell’onnipotenza mettendo in crisi tutto il sistema difensivo, ha infatti un’efficacia che trae la sua forza dalla crisi stessa: “Ma questo – si chiede stupito Francesco – che ospedale è? No, perche li ho girati tutti, faccio spesso incidenti… Devo pensare a tante cose e non ci riesco… mi faccio qualche canna, è un modo di liberarsi la testa, non sopporto di soffrire”. “Per me lo psicologo dovrebbe essere molto più qualificato del medico, perché il medico per curare c’ha le cartelle cliniche ma lo psicologo c’ha… le cartelle di vita. Comunque… mi ha fatto pensare questo colloquio!”.
Riferimenti bibliografici
Brunelli G. F. (2003), «Appendice». In P. Carbone, Le ali di Icaro: comprendere e prevenire gli incidenti dei giovani, Bollati Boringhieri, Torino.
Carbone P. (2003), Le ali di Icaro: rischio e incidenti in adolescenza, Bollati Boringhieri, Torino.
Carbone P. (2005), Adolescenze, percorsi di psicologia clinica. Magi editore, Roma.
Carbone P., Casini E., Cimino S., Ferrari A., Petrocchi M., Piccioli A. (2007), «Modelli di prevenzione in adolescenza», Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 74 (2), 407-421.
Carbone P. (2009), Le ali di Icaro: come prendere e prevenire gli incidenti dei giovani (nuova ed.), Bollati Boringhieri, Torino.
Derogatis L. (1977), SCL-90-R. Symptom Checklist-90-R, National Computer System, Minneapolis. ISTAT (2008), incidenti stradali. Anno 2007, http://www.istat.it/salastampa/comuni-cati/noncalendario/20081120_00/
Paola Carbone, psichiatra e psicoanalista, è Professore associato e responsabile del Laboratorio di Prevenzione “I Giovani e gli Incidenti”, alla Facoltà di Psicologia 2, “Sapienza”- Università di Roma, e Presidente dell’Associazione Romana di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza(ARPAd).
Elisa Casini, psicologa presso il Laboratorio di prevenzione “I Giovani e gli Incidenti” alla Facoltà di Psicologia 2, “Sapienza”- Università di Roma.
Anna Ferrari, psicologa, specialista in Psicologia clinica presso il Laboratorio di Prevenzione “I Giovani e gli Incidenti”, alla Facoltà di Psicologia 2, “Sapienza”-Università di Roma.
Si ringraziano i primari, tutti i medici, gli infermieri del Pronto Soccorso e la Direzione Sanitaria dell’Ospedale S. Eugenio, ASL RMC di Roma, per la sensibile disponibilità nei confronti del nostro progetto.