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Si fa un gran discutere di primarie in questi giorni. Pure il Pdl, in caduta libera nei sondaggi delle ultime settimane, pare abbia deciso alla fine di affidarsi a questo rito di purificazione democratica che dovrebbe risollevare le sorti dei partiti. Berlusconi non è molto d'accordo (pare sia terrorizzato soprattutto per la probabilità di una figuraccia, visto che l'affluenza alle primarie del centro-destra è stimata in poche centinaia di migliaia di persone, contro gli almeno due milioni di elettori previsti per quelle del centro-sinistra), ma pare che alla fine le faranno anche loro, e il cavaliere promette qualche coniglio, pardon, qualche dinosauro nel cilindro.
Peccato che nel nostro sistema istituzionale le primarie per il candidato premier siano perfettamente inutili, per una ragione molto semplice: in Italia non esiste il “candidato premier”. Il presidente del Consiglio (così si chiama da noi il capo del governo, e una ragione c'è) è nominato dal presidente della Repubblica, non è eletto dai cittadini. Quindi nessuno può “candidarsi” a diventare presidente del Consiglio. Voi direte: formalismi. Mica tanto, invece. La ratio delle primarie è di selezionare il candidato di un certo partito per una certa carica affinché, nel caso di vittoria, quel candidato ricopra effettivamente quella carica. E infatti hanno molto senso nelle elezioni dirette, come per esempio per i sindaci (e tutti i recenti casi di primarie alle comunali dimostrano che il meccanismo primarie+elezione diretta funziona), oltre che ovviamente nel caso esemplare del presidente degli Stati Uniti.
Per quel che riguarda invece il presidente del Consiglio italiano, le primarie nel migliore dei casi sono inutili, nel peggiore possono persino rappresentare un intralcio istituzionale e un vincolo alle scelte del presidente della Repubblica. Tutto dipenderà anche dalla legge elettorale: se ne confezioneranno una grazie alla quale finito lo scrutinio non si capisce chi ha vinto (opzione altamente probabile), il presidente della Repubblica si troverà costretto a ignorare i risultati delle primarie per scegliere una figura in grado di ottenere la fiducia del parlamento (è questo, d'altro canto, l'obiettivo dichiarato di Casini. Ed è questa la ragione per la quale nella prospettiva di un Monti bis, l'attuale presidente del Consiglio non ha alcun bisogno di candidarsi – né al parlamento, essendo già egli senatore a vita, né tantomeno alle primarie di questi o di quelli).
Le primarie hanno senso e funzionano quando il potere di designazione è affidato agli elettori o con elezioni dirette o, tuttalpiù, con meccanismi elettorali tali per cui all'indomani del voto c'è una coalizione nettamente vincente. E non è, ahimè, il nostro caso. E allora perché tutto questo gran affaccendarsi attorno alle primarie per “scegliere il tuo presidente del Consiglio”, come invita a fare, un po' ipocritamente, il video promozionale delle primarie del contro-sinistra? Per due principali ragioni.
La prima è la necessità di compattare le coalizioni attorno a figure più o meno carismatiche che possano, sulla scorta di una legittimazione della base, tenere assieme coalizioni eterogenee. Quindi quello che si sceglie davvero con le primarie non è il candidato premier, ma il leader della coalizione e con esso anche il suo profilo programmatico. E questa è comunque una buona ragione per partecipare.
La seconda ha a che fare con l'assetto istituzionale del nostro paese: il diffondersi delle primarie rivela un'insofferenza nei confronti del sistema parlamentare, nel quale i cittadini eleggono i propri rappresentanti alla Camera e al Senato, dove poi si fanno i “giochi” politici per la composizione del governo. Un sistema che ha molti pregi: uno su tutti, quello di rappresentare (quanto meno in teoria) una proiezione più o meno fedele della geografia politica del paese. Un sistema però che ha una debolezza di fondo: può funzionare solo a condizione di avere dei partiti solidi, molto radicati e che, soprattutto, godono della fiducia dei cittadini. Non c'è bisogno di dire che non è questo il caso dell'Italia, soprattutto negli ultimi anni.
Il sistema parlamentare ha poi un difetto che lo mina nella sua essenza: crea un legame troppo stretto fra parlamento e governo, ostacolando di fatto la funzione di controllo del parlamento nei confronti dell'esecutivo, troppo strettamente e reciprocamente legati dal voto di fiducia. E allora, forse, rovesciando una vulgata che vuole i sistemi presidenziali un po' meno democratici e rappresentativi di quelli parlamentari, si può ragionevolmente sostenere invece che separare le fonti di legittimazione dell'esecutivo e del parlamento può costituire un rafforzamento della democrazia, “liberando” governo e parlamento dai vincoli reciproci.
Un governo che non deve continuamente trattare con le forze politiche potrebbe essere più capace di prendere provvedimenti incisivi (e al contempo di assumersene la responsabilità di fronte al popolo sovrano senza possibilità di scaricabarile) e, d'altro canto, un parlamento non completamente schiacciato nel gioco delle parti di maggioranza e opposizione potrebbe più liberamente ed efficacemente svolgere la propria funzione di controllo dell'esecutivo, oltre che quella iniziativa legislativa che gli competerebbe per antonomasia e che invece nei fatti è continuamente soffocata. E allora, anche le primarie avrebbero un senso.
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