Non bisognerebbe mai giudicare una citta’ sconosciuta dalla stazione dei treni. Si rischierebbe di estendere il grigio, l’assenza di bellezza, l’impiccio delle reti dei lavori in corso a piazze, vicoli e palazzi.
Non bisognerebbe mai visitare per la prima volta una citta’ di mare in un giorno plumbeo di pioggia in arrivo. Si rischierebbe di perdere il gioco dei colori delle facciate e quello delle luci che si riflettono sull’acqua.
Genova mi e’ apparsa cosi’, oggi pomeriggio e, prima di perdermi domani tra i carruggi, ho scelto di passeggiare lungo i moli, tra i magazzini del cotone riportati a nuova vita, le file di alberi delle barche a vela immobili sulle acque della sera, un piatto di trofie al polipo e pomodorini e la sagoma inconfondibile del pifferaio magico uscita dalla penna di Luzzati.
Ma chissa’ se i cinque fenicotteri rosa, appollaiati sopra un traliccio che sostiene i drappi a forma di vela trascorrono tutta la propria vita sotto il vetro della biosfera, ad osservare malinconici le barche che entrano nelle darsene del porto antico di Genova. Oppure se stavano solo aspettando il cambio del turno di notte.