In verità non esiste uno straccio di norma nel nostro ordinamento processuale che preveda che quando per un reato è imminente la prescrizione – tenuto conto delle attività processuali ancora da svolgere – il giudice deve sospendere il procedimento fino alla data in cui il reato cesserà di essere tale. I motivi della inesistenza di questa norma sono – ritengo – due. Il primo di ordine sistematico: esiste una lacuna che ancora non è stata colmata dal legislatore, e mi chiedo se mai verrà colmata. Il secondo di ordine pratico e culturale: i nostri giudici hanno un eccessivo potere discrezionale, tale che possono manipolare il diritto secondo le loro idee e i loro punti di vista, cosicché se il procedimento non è rilevante o non dà il giusto risalto mediatico, è probabile che la sospensione verrà attuata (con rinvii a lungo termine), altrimenti si procede per tappe forzate (con rinvii a breve scadenza), pur consapevoli che anche queste strategie sono del tutto inutili dinanzi a un meccanismo prescrittivo ormai alle porte.
Nel processo Mills abbiamo un imputato – Silvio Berlusconi – che certo non è l’ultimo degli imputati. Già questo permette di prendere le misure dell’atteggiamento dei giudici, poco disponibili a lasciare andare un processo che comunque vada, finirà nel macero dei processi inutili. Lo dimostrano le tappe forzate, i passi di marcia di una giustizia che in altri ambiti e con altri imputati (meno famosi) rimane decisamente più blanda, menefreghista e per niente preoccupata di rendere giustizia a loro (se sono innocenti) e alla collettività (se sono colpevoli). Così stride l’efficientismo dimostrato dai giudici di Milano nel processo Mills davanti alle lentezze esasperate che opprimono la macchina giudiziaria nel suo complesso. Questo ci comunica ancora una volta che per la giustizia italiana ci sono processi di serie A e processi di serie B (bisognerà poi stabilire quali sono quelli di serie A e quelli di serie B, perché dipende sempre dai punti di vista).
Comunque sia, è sotto gli occhi di tutti che un processo che sarà destinato a non avere alcuno effetto giuridico non dovrebbe essere più celebrato. Il giudice dovrebbe prendere atto che – vista la mole delle attività processuali ancora da svolgere – il processo è solo un inutile dispendio di soldi del contribuente. Perché è ovvio che se la macchina giudiziaria si concentra su un procedimento che finirà inevitabilmente nel macero, il denaro dei cittadini lo seguirà a ruota, creando un danno – seppur non evidente – alla collettività: perché quei giudici potrebbero occuparsi di altri processi e di altri imputati, rendendo meglio efficiente la macchina giudiziaria.
E invece nisba. Ostinatamente i magistrati proseguono con un processo destinato a prescriversi, e lo fanno persino con una efficienza che lascia disarmati. E allora è chiaro che dobbiamo chiederci il perché. E il perché non può che essere ricercato in un obiettivo: ottenere comunque l’acclaramento di responsabilità penale del(l’ex) Premier con subitanea dichiarazione di prescrizione del reato. In altre parole, l’obiettivo processuale è comunque definire responsabile il Cavaliere e infrangere il suo incredibile primato: più di duecento processi e nemmeno una condanna. L’utilità sostanziale di questo risultato non è certamente giuridica: se il reato è prescritto, il Cavaliere non subirà alcun tipo di effetto penale da questa ipotetica “condanna”. Ma questo aspetto non è davvero importante: esiste un’altra utilità, ed è quella politica/mediatica. Il Cavaliere condannato (seppur di un reato prescritto) è comunque un Cavaliere condannato per un reato odioso come la corruzione. Sul piano dei consensi politici, soprattutto in questo periodo di grave debolezza politica, questa condanna potrebbe avere il suo dirompente effetto.
Da questa verità non si fugge. Ed è una verità che – davvero – lascia perplessi, perché dalla giustizia ci si dovrebbe aspettare non solo giustizia ma anche realismo ed efficientismo. Soprattutto perché i soldi che i giudici usano per celebrare i processi sono i nostri. Ecco dunque che il magistrato dovrebbe avere l’accortezza e la sensibilità di andare oltre l’utilità politico/mediatica di una condanna basata su un reato ormai prescritto (la prescrizione del reato di corruzione nel processo Mills – ricordo – interviene a febbraio 2012), valutando esclusivamente la sua concreta utilità giuridica. E va da sé – ripeto – che questa utilità, nel processo al Cavaliere, non esiste più da tempo.
Fonte: Adnkronos
di Martino © 2011 Il Jester