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Quando don Sturzo inventò la casta

Creato il 11 ottobre 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

di Gian Antonio Stella

dall’inserto “Sette” del Corriere della Sera, 10 ottobre 2014

Un libro ricorda che la parola venne usata per la prima volta dal fondatore del Partito popolare.

Smentendo così D’Alema che la attribuisce alle Br. Don Luigi Sturzo era un precursore delle Brigate rosse?

La domanda è così insulsa che farebbe ridere se non fosse stata involontariamente sdoganata, col proverbiale garbo, da Massimo D’Alema, il quale nel 2011 si avventurò a dire:

«Bisognerebbe liberare il lessico dalle parole anti-democratiche. Ne dico una di parola anti-democratica, capisco che è un po’ forte, ma è la verità. La parola “Casta” non è stata inventata da due brillanti colleghi. “Casta dei politici” compare nel dibattito pubblico italiano per la prima volta in un documento delle Brigate Rosse e ha mantenuto quella impronta; ogni qualvolta la si usa, bisognerebbe pagare una royalty agli ideatori, e lo si fa culturalmente».

Tracciando quel paragone insultante tra una battaglia di giornalismo civile e la ferocia di assassini che sparavano alla nuca delle persone, però, l’elegante ex leader della sinistra, trascurava per ragioni di polemica e di bottega un dettaglio: la parola incriminata come qualunquista, antipolitica e brigatista era stata usata molto, ma molto, ma molto prima, da don Luigi Sturzo.

Lo ricorda il libro Lei non sa chi ero io. La nascita della Casta in Italia. Dove Filippo Maria Battaglia ripercorre la storia della Repubblica dai primi anni del dopoguerra, quando sull’Europeo Vittorio Zincone parla addirittura di «deputati poveri» e descrive come «assai grama» la vita dei parlamentari, che vivono in alberghetti modesti e «vanno quasi tutti a mangiare al circolo delle Forze armate di Palazzo Barberini, grande benefattore della borghesia povera con la sua mensa a buon mercato».

Non è una bella storia, quella ricostruita da Battaglia.

E vede un crescendo di assalti alle poltrone di banche ed enti economici, di assenteismo (strepitosa una cronaca di Giovanni Guareschi su De Gasperi e Andreotti che consultano «febbrilmente gli orari ferroviari in attesa dei treni che avrebbero riportato alla capitale i senatori andati a rappresentare il popolo al mare e ai monti»), di scandali di ogni genere. Dai miliardi spariti di Federconsorzi all’accusa al comunista Giuseppe Sotgiu di «aver assistito da spettatore a scene di sesso della consorte con un minorenne, debitamente pagato», dalla costruzione di Fiumicino (bollata da Montanelli come «molto peggio di un furto, di una rapina a mano armata, di una incursione di briganti») ai misteri del francobollo «Gronchi rosa» che conteneva un errore sul confine fra Perù ed Ecuador e fu subito ritirato, lasciando però il tempo ad alcuni signori, stranamente bene informati, di far «incetta del prezioso pezzetto di carta».

Curcio in III elementare

Uno dei passaggi più interessanti, però, è appunto quello che cita quanto scrisse su 24 ore don Luigi Sturzo l’11 agosto 1950.

Un articolo straordinario perché dimostra come il fondatore del Partito popolare, limpida figura di anti-fascista, anti-qualunquista, anti-demagogo, avesse già capito con largo anticipo i rischi che correva la nostra democrazia a causa di certi abusi.

Rileggiamo l’originale: «Corre voce che si vorrebbe stabilire un primo fondo per una cassa pensioni a favore dei deputati che avranno raggiunto un certo limite di età e di anzianità parlamentare (…). A me sembra aberrante fare del mandato elettorale, sì e no rinnovabile ogni cinque anni, qualche cosa che confini con la carriera impiegatizia, ovvero il mandarinato, e sbocchi, infine, ad uno stato di quiescenza a carico del pubblico erario».

Ognuno si tenga la pensione sua, spiega don Sturzo: se è impiegato da impiegato, se operaio da operaio, se avvocato da avvocato. Infatti «una cassa pensioni deputatizia (non ho sentito parlare di senatori) non solo è superflua (per quel che si è detto sopra), ma ha un effetto deplorevole nell’opinione pubblica, dando l’impressione di voler creare o consolidare una casta, la parlamentare». Insomma: «Più si consolida la “professione” e più si forma lo spirito di corpo, la “casta”, e più si rende difficile l’avvicendamento, sul quale è basata ogni sana democrazia».

Renato Curcio, il futuro fondatore delle Br tirate in ballo dall’acuto D’Alema sulla base di letture raffazzonate, faceva allora la terza elementare.


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