Quando le parole non servono
Creato il 30 gennaio 2015 da Astorbresciani
Mi hanno rimproverato di scrivere poco. I miei soliti “venticinque lettori” (voglio rendere omaggio al Manzoni) si lamentano del fatto che trascuro il mio blog. Hanno ragione ma in realtà scrivo di meno non per pigrizia o perché mi si è inaridito l’estro. La ragione della mia parziale desistenza è triplice. Primo, sto scrivendo altre cose. Ho dato la priorità alla revisione e, infine, al labor limae di un romanzo pronto per essere pubblicato e ho iniziato a lavorare a un nuovo romanzo che assorbe tempo e risorse psichiche. Secondo, come il Manzoni, non cerco la platea o il successo ma le parole, il messaggio. Terzo, ho capito che in questo momento le parole scritte servono a poco. Elio Vittorini credeva che “è in ogni uomo attendersi che forse la parola, una parola, possa trasformare la sostanza di una cosa. Ed è nello scrittore di crederlo con assiduità e fermezza… È fede in una magia; che un aggettivo possa giungere dove non giunse, cercando la verità, la ragione, o che un avverbio possa recuperare il segreto che si è sottratto a ogni indagine.” Confesso che comincio a dubitare che la magia funzioni ancora. Forse ha perso la sua forza in un mondo dominato dalla tecnologia, e non solo. Un mondo dove la gente si è fatta grossolana e spiccia, dove latita la sensibilità, il discernimento, l’amore per la bellezza. Continuo ad amare la parola, a cercare quella giusta nella speranza che possa compiere il miracolo di scuotere gli animi dall’apatia, di commuovere o indignare, di esprimere compiutamente una mozione d’affetti. E so che altri, come me, non rinuncerebbero mai a questa ricerca che ci rende migliori, ci fa sentire più vivi, creativi. Eppure… Oggi la gente legge poco e male. Non apprezza più il linguaggio ricercato, lo stile alto, non necessariamente forbito. Forse perché ha fretta, forse perché è incolta e possiede un patrimonio lessicale sempre più ridotto. Mi meraviglio quando vedo che hanno successo i libri scialbi, scritti (o fatti scrivere da un ghost writer) in modo banale, piatto, che ricalcano il linguaggio parlato e dove l’unica scossa è data dalla volgarità d’espressione. Mi stupisco anche del fatto che si narra alla stessa maniera in cui si comunica attraverso gli sms o i social network. Non è più una questione di semplicità e linearità, è un fatto di povertà dilagante, di miseria espressiva. Per tacere dei contenuti, naturalmente. Si ha poco da dire e quel poco si pronuncia gridando e risparmiando sul vocabolario e la fantasia. Nel Fedro, Platone fa dire a Socrate che la scrittura non è progresso ma decadimento, e che la vera efficacia della parola non è affidata al libro, dove il linguaggio è fossilizzato, ma al colloquio. Sono d’accordo in parte. Oggi, la scrittura è certamente espressione della decadenza dei tempi se non del genere umano. E che dire del linguaggio colloquiale, la parola non scritta ma volatile? Peggio. Basta mettersi in ascolto per inorridire. Abbiamo perso il piacere oltre che la capacità di conversare, di usare le parole giuste e tanto più quelle preziose, di costruire frasi sensate e originali, che non siano luoghi comuni, il sentito dire o, peggio ancora, rigurgiti inopportuni. I discorsi sono pieni di banalità, intercalare e parole vomitate a caso o proditoriamente, per ingannare, fare effetto, esaltare un ego che si nutre di falsità e immondizia. Ascolto i bipedi con cui mi relaziono e penso. E quando ascolto, fatta eccezione per i miei familiari e qualche rara avis, mi rattristo. Troppe volte le parole imbandite in televisione o quelle spese nel privato, là dove due o più persone si scambiano opinioni, sono sgradevoli, vuote, mortificanti, inutili. Quando le parole non servano, andrebbero risparmiate. Ecco perché pubblico meno post sul mio blog. Ho deciso di risparmiare. Ho capito che serve a poco condividere il proprio amore per il ragionamento, la dialettica, la forza della parola. Scrivo principalmente perché ne ho bisogno e in questi ultimi tempi il bisogno non è più così pressante. Magari passa. Magari fra pochi giorni o settimane, sentirò nuovamente la necessità di esprimermi e di farlo con la consueta generosità. Ai miei venticinque lettori voglio dunque dire: non disperate, continuerò a scrivere, per me e per chi mi apprezza. Nello stesso tempo, voglio ricordare loro una poesia di Montale che dice; “Le parole/preferiscono il sonno/nella bottiglia al ludibrio/ di essere lette, vendute/ imbalsamate, ibernate…”. Di parole da dire, da estrarre dal cilindro e mettere per iscritto, ne ho ancora tante, ma ultimamente mi seduce l’idea di sigillarle in una bottiglia di vetro e affidarle al mare.
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