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Alla fine l'ho letto il libro di Giorgio Fontana vincitore del Campiello.
L'ho preso in biblio e me l'hanno dato pur se non ero troppo lucido quando l'ho chiesto:
- Volevo l'ultimo di Fontana, non ricordo il nome, il titolo è qualcosa tipo Vita di un uomo tranquillo.
- Ah sì, Fontana... Giovanni mi pare. (la bibliotecaria)
- Uhm, può essere. (ero sicuro di no, ma del resto anche io...)
- Eccolo qua, Morte di un uomo felice! (3,2 carver)
- Lui.
E l'ho letto. Niente da dire, un gran bel romanzo, pregno di riferimenti alla nostra storia recente. Una trama cupa per certi versi e lieve per altri e forse sta proprio qui la sua forza più grande.
Io ci ho ritrovato Scerbanenco, per dire, soprattutto per certe atmosfere, per l'asciuttezza dei dialoghi e per le descrizioni di luoghi e tempi molto accurate ma mai prolisse.
C'è tanto cielo nel romanzo, è un aspetto che mi ha colpito.
C'è cielo che incombe, cielo che rasserena, cielo che prepara, cielo che accompagna, c'è cielo che minaccia e cielo che si apre alla speranza.
Non lo so se è una cosa programmata e voluta o se gli sia venuto naturale a Fontana d'infarcire con tanto cielo la sua storia. Più di strade o luoghi, più di odori o suoni sono dettagliati i colori e le forme dei cieli e non è una roba brutta.
Una volta ho sentito Paolo Conte disquisire flemmatico sulla parola cielo e di come una semplice sfumatura, tipo usare cieli, al plurale, potesse conferire al testo una sensazione di spazi e di movimento.
Non che c'entri qualcosa col romanzo. O forse sì.
L'ho preso in biblio e me l'hanno dato pur se non ero troppo lucido quando l'ho chiesto:
- Volevo l'ultimo di Fontana, non ricordo il nome, il titolo è qualcosa tipo Vita di un uomo tranquillo.
- Ah sì, Fontana... Giovanni mi pare. (la bibliotecaria)
- Uhm, può essere. (ero sicuro di no, ma del resto anche io...)
- Eccolo qua, Morte di un uomo felice! (3,2 carver)
- Lui.
E l'ho letto. Niente da dire, un gran bel romanzo, pregno di riferimenti alla nostra storia recente. Una trama cupa per certi versi e lieve per altri e forse sta proprio qui la sua forza più grande.
Io ci ho ritrovato Scerbanenco, per dire, soprattutto per certe atmosfere, per l'asciuttezza dei dialoghi e per le descrizioni di luoghi e tempi molto accurate ma mai prolisse.
C'è tanto cielo nel romanzo, è un aspetto che mi ha colpito.
C'è cielo che incombe, cielo che rasserena, cielo che prepara, cielo che accompagna, c'è cielo che minaccia e cielo che si apre alla speranza.
Non lo so se è una cosa programmata e voluta o se gli sia venuto naturale a Fontana d'infarcire con tanto cielo la sua storia. Più di strade o luoghi, più di odori o suoni sono dettagliati i colori e le forme dei cieli e non è una roba brutta.
Una volta ho sentito Paolo Conte disquisire flemmatico sulla parola cielo e di come una semplice sfumatura, tipo usare cieli, al plurale, potesse conferire al testo una sensazione di spazi e di movimento.
Non che c'entri qualcosa col romanzo. O forse sì.
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