Kazuo Ishiguro è una star della narrativa internazionale, e quando parla affascina, lo si ascolta con attenzione e trasporto irretiti dall’aurea di sex-appeal che sempre circonda gli scrittori che vantano un portfolio di milioni di copie vendute nel mondo. Da autore abituato alle grandi platee, sa catturare l’attenzione del pubblico, un po’ perché sentire un ometto dai tratti somatici così smaccatamente orientali che si esprime con un perfetto accento britannico è già un elemento di magia, un po’ perché dosa bene ironia e discorsi più prettamente letterari, con la tranquillità e la rilassatezza di chi, essendo perfettamente a suo agio nel suo ruolo di affabulatore, non ha bisogno di ostentare o spettacolarizzare a tutti i costi e, per tale ragione, risulta piacevolissimo da seguire.
Nonostante ciò, la Fiera del Libro di Londra (che quest’anno non può vantare la presenza di molti altri nomi di grido), gli riserva solo un brevissimo slot per una miniconferenza di quindici minuti. Che però sono sufficienti a soddisfare i presenti più di quanto non avrebbe fatto un megadibattito da un’ora e mezza.
L’autore di “Quel che resta del giorno” e “Non lasciarmi” racconta del suo rapporto con la creatività, dà qualche risicatissima anticipazione sul romanzo a cui sta attualmente lavorando (un’opera incentrata sul tema della memoria, e sul dubbio amletico di quanto, per la psiche umana, sia conveniente ricordare e andare a ripescare il passato perduto e quanto, al contrario, sia più salvifico dimenticare). Ma soprattutto affronta l’annosa questione che aleggia nei padiglioni di questa e di tutte le altre Fiere del Libro del mondo, vale a dire gli infiniti punti di domanda sull’imminente rivoluzione digitale e su come cambieranno, a breve, le figure di scrittori, editori, e lavoratori del publishing in generale.
Il romanziere cinquantaseienne dice che un cambiamento radicale gli sembra inevitabile (e come si può dargli torto), e pronostica che a breve tutti gli scrittori dovranno inventarsi un nuovo modo per vivere del loro narrare visto che, presumibilmente, il grande pubblico si disabituerà a pagare per leggere un’opera intellettuale.
Poi aggiunge una chicca, e confessa di avere recentemente ricevuto offerte da parte di grossi marchi del mondo del business (nello specifico una banca e un brand di gioielleria) che gli offrivano denaro per venir citati (ovviamente in maniera positiva) nel suo prossimo romanzo. E rimarrà deluso chi si aspetterebbe da un autore di cotanta levatura un atteggiamento scandalizzato e votato all’integrità morale dello scrittore (magari anche solo di facciata). Perché Ishiguro appare assai possibilista, non sembra affatto turbato all’idea che le multinazionali possano a breve comprare la dignità dei grandi pensatori e staccare assegni in cambio di pagine di letteratura sponsorizzata.
Ora… non che io voglia ergermi a profeta della catastrofe culturale dell’umanità, ma sette anni fa, mentre usavo parte del mio romanzo “Il cosmo secondo Agnetha” per disegnare un ritrattino assai poco edificante del mondo dell’editoria per come io l’avevo conosciuto, arrivavo appunto a immaginare un fantascientifico scenario in cui allo scrittore di successo costruito a tavolino venisse imposta la presenza di un certo numero di spot pubblicitari occulti da inserire nel suo best seller. Allora mi sembrava una pura provocazione, un’iperbole per portare agli estremi una certa mentalità commerciale e prostituente del business letterario. Ieri mattina, invece, ascoltando Ishiguro alla Fiera del Libro di Londra, mi sono reso conto che quella fantasia apocalittica si sta trasformando in realtà.
Chissà che un domani non si pubblichino nuovi adattamenti della Divina Commedia in cui Dante si disseta a una sorgente di Coca Cola e Caronte traghetti le anime dei morti su una nave della Costa Crociere.
Forse sarò un po’ antico e di vedute strette, ma io, a differenza di Kazuo Ishiguro, mi sento muovere un po’ di inquietudine dentro, all’idea che una banca o una marca di chewing-gum possa comprarsi gli spazi del mio prossimo romanzo, e quindi impormi decisioni circa i personaggi, la trama, le ambientazioni o la lunghezza dei periodi.
Tra le motivazioni della nascita della letteratura, c’era la ricerca della libertà di pensiero. Se d’ora in avanti una fabbrica di sigarette o un brand di biancheria intima potranno comprarsi i contenuti dei romanzi di successo, mi chiedo davvero cosa sia, quel che resta dello scrittore.
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