di Beniamino Franceschini
da Sportivamente Mag, 21 marzo 2014
Con intelligenza la Federazione Italia Baseball Softball porta nelle scuole il Progetto 42, il racconto della vita di Jackie Robinson e del suo mentore Branch Rickey, attraverso la pellicola di Helgeland.
Nella pellicola “Full Metal Jacket”, il sergente Hartman, rigido istruttore dei Marines, tiene un discorso che, tra improperi, turpiloquio diffuso ed esaltazione politically incorrect della virilità statunitense, è divenuto per certi versi più celebre del film stesso. A un certo punto, il militare grida: «Io sono un duro, però sono giusto: qui non si fanno distinzioni razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani o messicani! Qui vige l’eguaglianza: non conta un cazzo nessuno»! Evitando di proseguire in una critica cinematografica o sociopolitica, dico soltanto che quella precisa affermazione mi riporta sempre – con le imprescindibili e dovute differenze – alla figura di Vince Lombardi, storico allenatore di football americano e mitico innovatore della disciplina, il quale ruppe le barriere razziali, schierando sempre e solo i migliori giocatori a disposizione: sul campo non c’erano né bianchi, né neri, ma solo i “verdi” dei Green Bay Packers. Non a caso, in molti hanno definito Lombardi «colorblind», anche rispetto alle questioni dell’identità di genere.E proprio lo sport, che negli anni è stato uno dei principali campi della segregazione, è anche uno dei più potenti motori non tanto all’integrazione – una dinamica pur sempre basata sul movimento esterno-interno di gruppi e individui – quanto alla costruzione di una nuova società, nella quale i razzisti siano quotidianamente battuti nella loro criminale idiozia. Per esempio, c’era chi riteneva che la pallacanestro non fosse adatta agli atleti di colore, perché privi dell’intelligenza tattica per coordinarsi sul campo, idee simili a coloro che giudicavano le donne inadatte alla politica perché dal cranio mediamente più piccolo di quello maschile, oppure che si attribuivano il diritto di vita o di morte degli esseri umani in base alla misura del naso.
Nello sport, come nella vita politica, la sconfitta della segregazione – ahimè non del razzismo, che persiste sul campo e sugli stadi – si deve anche a grandissimi atleti, capaci di unire il talento alla personalità e al coraggio. Ritornando un attimo alla cinematografia, prima o poi in qualche film statunitense ci si imbatte nella scena di un nonno che mostra al nipote un vecchio album di figurine di giocatori di baseball, con il discorso che cade inevitabilmente sull’argomento delle Negro League, i campionati riservati ad atleti afroamericani.
In questo senso, per gli appassionati di sport la mente vola subito al giocatore che ha contribuito ad avviare la transizione verso il baseball che conosciamo oggi e verso gli Usa che conosciamo oggi: Jackie Robinson, il primo giocatore di colore a scendere in campo nella MLB nel dopoguerra (1947), ben sette anni prima che la Suprema Corte dichiarasse incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole. Robinson combatté sempre per i propri diritti con coraggio, tanto da essere addirittura processato dalla Corte marziale durante il servizio militare per il rifiuto di spostarsi in fondo a un autobus.
L’incontro fondamentale fu con Branch Rickey, general manager dei Brooklyn Dodgers, che lo volle nella squadra a ogni costo, così come, anni dopo, volle l’ingresso nei Pittsburgh Pirates del portoricano Roberto Clemente. E Robinson (che sopportò le minacce e le offese del pubblico, i lanci sulle ginocchia da parte dei pitchers, gli sputi dei catchers sulle scarpe) divenne una leggenda del baseball, la prima scintilla di una nuova luce. Perché, come egli stesso ebbe a dire: «Una vita non è importante se non nell’impatto che ha su altre vite».
Ecco perché, nella settimana che conduce alla Giornata Mondiale Contro il Razzismo indetta dall’ONU, la Federazione Italiana Baseball Softball (FIBS) è impegnata, all’interno del Progetto 42, a portare nelle scuole il racconto della vita di Jackie Robinson e del suo mentore Branch Rickey, attraverso la splendida pellicola Warner “42”, di Brian Helgeland.
Come si legge nella nota della FIBS, «il Progetto 42 vive la settimana più intensa dell’edizione 2014, con ben tre tappe che si svolgono fra il 20 e il 21 marzo». Il primo appuntamento ieri a Lucca, presso il Cinema Moderno, grazie al lavoro delle Nuove Pantere guidate da Alessandro Bertolucci e con il patrocinio della Provincia di Lucca. Il programma ha visto intervento del commissario tecnico della Nazionale di softball, Marina Centrone, che ha raccontato ai ragazzi delle scuole secondarie di I e II grado i valori che l’esperienza del diamante è capace di trasmettere. Oggi il calendario prevede due iniziative in contemporanea a Milano e Torino.
A Milano gli studenti sono chiamati al Cinema Colosseo, con la collaborazione del Comune di Milano e dell’Ufficio Educazione Fisica XVII del MIUR. Nel capoluogo piemontese, il Progetto 42 si svolge, d’intesa con il Museo Nazionale del Cinema, al Cinema Massimo, presente il manager della nazionale di baseball Marco Mazzieri, in veste di testimonial della disciplina. A Torino l’evento è parte integrante del programma Opening Days, lanciato da Marco Mannucci, Presidente del Comitato Regionale FIBS Piemonte-Val d’Aosta. In agenda alle 15 l’inaugurazione della mostra Baseball Emotions presso il Museo dello Sport allo Stadio Olimpico, con il Baseball Roadshow e con attività sportive e promozionali integrate nel programma propedeutico a Torino Capitale Europea dello Sport 2015, con il patrocinio di Comune e Provincia.
Beniamino Franceschini
La versione originale dell’articolo può essere letta qui: Quel razzismo sempre da contrastare.