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Quello che il renzismo non dice (97) – Apologia governativa a Ballarò. Sull’ “Essere Matteo Renzi”, l’(anti-)pamphlet di Claudio Giunta e sui pamphlet di Jonathan Swift.

Creato il 07 aprile 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
6123052di Rina Brundu. Apologia renzista questa sera durante il Ballarò del Massimo Giannini sempre più “caught between a rock and a crazy place” mediatico, come direbbero gli ispirati Chuck Lorre e Bill Prady di “The Big Bang Theory”. Così, tra un’allegra chiacchiera e l’altra, tra ovvietà contrite e ritrite, ecco l’ennesima marchetta editoriale all’ennesimo pamphlet di partito, in questo caso l’epocale “Essere Matteo Renzi” scritto dal professor Giunta. Il quale pamphlet racconterebbe tutto ma proprio tutto sul renzismo, sulla “felicità” dell’essere renziano e si chiuderebbe con il dilemma dei dilemmi: “Come si può non amare Matteo Renzi?”.

Preciso per i più distratti che Claudio Giunta non dovrebbe essere figlio di Matteo Renzi e dunque non si tratterebbe di lavoro per la Festa del Papà. Purtroppo però è questo che – per quanto mi riguarda – lo squalifica subito. Di fatto nei pamphlet va benissimo la satira, ma soprattutto va bene il tratto graffiante, il carattere di denuncia, la capacità autorale di non guardare in faccia nessuno, men che meno di osannare le dinamiche interessate del potere. Non si offenda dunque il professore in questione se – mercé ciò che ho sentito nella presentazione gianninica – preferirei chiamare il suo lavoro – degnissimo sicuramente – un anti-pamphlet.

Come modello autorale per questa gloriosa tipologia di produzioni letterarie, il pamphlet vero e proprio, scelgo quindi di stare ancora con lo straordinario Jonathan Switft, (30 Novembre 1667 – 19 Ottobre 1745), lo scrittore irlandese, nato proprio qui a Dublino, autore tra le altre opere dell’immortale “Una modesta proposta per impedire ai bambini dei poveri di essere un peso per i genitori e per il paese e far sì che siano utili all’interesse pubblico”. Ovvero di un pamphlet fortemente distopico ed estremamente provocatorio con il quale lo scrittore – con l’intento di denunciare le terribili condizioni dell’infanzia nell’Irlanda della crisi endemica – non esita a suggerire di far ingrassare i bambini denutriti per darli in pasto ai ricchi proprietari terrieri, oppure venderli al mercato della carne quando ancora piccolissimi per combattere il problema della sovrappopolazione e la disoccupazione.

Niente lodi al dominus di turno dunque ma una vena creativa stratosferica e rivoluzionaria capace di insegnare anche in questi tempi digitali, di formare intelletti migliori e anime più accorte e, di tanto in tanto, di farci vergognare. Ne pubblico qui di seguito l’incipit, il resto leggetelo sull’ottimo sito filosofico.net, ne vale davvero la pena.

Una modesta proposta

di Jonathan Swift

È cosa ben triste, per quanti passano per questa grande città o viaggiano per il nostro Paese, vedere le strade, sia in città, sia fuori, e le porte delle capanne, affollate di donne che domandano l’elemosina seguite da tre, quattro o sei bambini tutti vestiti di stracci, e che importunano cosí i passanti. Queste madri, invece di avere la possibilità di lavorare e di guadagnarsi onestamente da vivere, sono costrette a passare tutto il loro tempo andando in giro ad elemosinare il pane per i loro infelici bambini, i quali, una volta cresciuti, diventano ladri per mancanza di lavoro, o lasciano il loro amato Paese natio per andarsene a combattere per il pretendente al trono di Spagna, o per offrirsi in vendita ai Barbados.
Penso che tutti i partiti siano d’accordo sul fatto che tutti questi bambini, in quantità enorme, che si vedono in braccio o sulla schiena o alle calcagna della madre e spesso del padre, costituiscono un serio motivo di lamentela, in aggiunta a tanti altri, nelle attuali deplorevoli condizioni di questo Regno; e, quindi, chiunque sapesse trovare un metodo onesto, facile e poco costoso, atto a rendere questi bambini parte sana ed utile della comunità, acquisterebbe tali meriti presso l’intera società, che gli verrebbe innalzato un monumento come salvatore del paese.
Io tuttavia non intendo preoccuparmi soltanto dei bambini dei mendicanti di professione, ma vado ben oltre: voglio prendere in considerazione tutti i bambini di una certa età, i quali siano nati da genitori in realtà altrettanto incapaci di provvedere a loro, di quelli che chiedono l’elemosina per le strade.
Per parte mia, dopo aver riflettuto per molti anni su questo tema importante ed aver considerato attentamente i vari progetti presentati da altri, mi son reso conto che vi erano in essi grossolani errori di calcolo. é vero, un bambino appena partorito dalla madre può nutrirsi del suo latte per un intero anno solare con l’aggiunta di pochi altri alimenti, per un valore massimo di spesa non eccedente i due scellini, somma sostituibile con l’equivalente in avanzi di cibo, che la madre si può certamente procurare nella sua legittima professione di mendicante; ma è appunto quando hanno l’età di un anno che io propongo di provvedere a loro in modo tale che, anziché essere di peso ai genitori o alla parrocchia, o essere a corto di cibo e di vestiti per il resto della vita, contribuiranno invece alla nutrizione e in parte al vestiario di migliaia di persone.
Un altro grande vantaggio del mio progetto sta nel fatto che esso impedirà gli aborti procurati e l’orribile abitudine, che hanno le donne, di uccidere i loro bambini bastardi; abitudine, ahimè, troppo comune fra di noi; si sacrificano cosí queste povere creature innocenti, io credo, piú per evitare le spese che la vergogna, ed è cosa, questa, che muoverebbe a lacrime di compassione anche il cuore piú barbaro ed inumano.

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