@laSoncini è una personalità particolare su Twitter, culturalmente preparata, stimolante, anche per alcuni hashtag inventati, come #ilgrandecanile, con riferimento ad una fiction dal titolo La Grande Famiglia. Però quando afferma che noi italiani non siamo praticamente in grado di recitare, l'argomento resta la serialità televisiva, non sta dicendo proprio tutto, sta solamente rimestando il brodo di Twitter, degli hashtag e di una piccola parte della produzione culturale.
Da una rapida occhiata al panorama Rai-Mediaset la situazione è disperata, ma qui stiamo andando ben oltre, stiamo riproponendo un dualismo che in Italia purtroppo vive ancora, cioè quello della cultura pop contro la cultura snob, una questione che è fortemente politica. Innanzi tutto c'è una forte convinzione che in Italia con la cultura non si mangi. Niente di più falso, l'Europa e non solo, e situazioni del nostro passato, sono piene di imprese culturali remunerative. Secondo si pensa sempre che la cultura riguardi solamente la questione della conservazione del patrimonio e del paesaggio, concetto che presuppone una società immobile se non per qualche visita ad un museo oppure il conto degli ingressi della lirica e del teatro.
Ultima cosa è l'affermare cosa sia cultura e cosa non lo sia, per cui leggere le liriche del greco Mimnermo lo è, mentre leggere un fumetto come Valzer con Bashir, non lo è. Negli anni '90 sembravamo sulla buona strada per uscire da questa vacua contrapposizione, ma, ahinoi, sembra proprio che ci siano tornati e con tutte le scarpe. Potremmo anche esagerare, affermando come anche la soap opera sia una questione culturale, cosa che afferma tutto il corpus delle scienze sociali (consiglio sempre il libro di Florence Dupont "Da Omero a Dallas") ma temo che possa generare confusione.
Se avessimo un sistema produttivo televisivo migliore, il che sarebbe realizzabile con un'offerta di canali e di attori produttivi, superiore a quell'odierna, potremmo parlare di vera scelta, ma purtroppo così non è. Se avessimo anche un sistema basato sulla meritocrazia e sulla scelta forse potremmo avere più coraggio, ma neanche questo è possibile, perché i prodotti culturali si assomigliano tutti, tranne rare eccezioni, e sono tutti livellati verso il basso, molto basso. Quando parlo di questione politica non sto parlando di Berlusconi e di come abbia colonizzato le sue tv con prodotti americani, che tutti guardiamo, anche se dovremmo chiederci perché la sinistra politica e culturale ha lasciato che lo spazio pop, quello del prodotto medio per intenderci, fosse codificato solo in quella cifra e da quella parte.
Eppure questo è successo. L'Italia ha avuto nell'ambito della produzione culturale, in tutti i campi, una forte produzione di generi e di prodotti medi, ma poi è stato tutto distrutto, squadernato, disperso, per un'ideale "repubblica colta" dove le persone consumassero prodotti "elevati", di qualità superiore. Si è pensato ad una percentuale di consumi di una piccola parte, abbandonando il resto e spesso facendolo sentire in colpa la massa per quello che fruivano. Il risultato è quello abbiamo di fronte a noi: la cultura è disprezzata perché percepita come istituzionale, obbligatoria e non libera.
Grandi mostre sui fumettisti, ad esempio Pratt e Pazienza, sono state realizzate solo dopo la morte di questi artisti. In vita erano oggetti e soggetti di culto nel mondo, ma qui da noi, non proprio. Che dire poi del nostro cinema non d'autore, studiato e preso a modello in tutto il mondo, ma che doveva aspettare dei decodificatori d'oltreoceano per essere riproposto, almeno come fenomeno di moda. Sicuramente alla base e a sostegno di questo c'è stato anche l'anti-americanismo più militante e più stupido, che non permetteva di distinguere la qualità dei prodotti. Quello che è successo è stato l'omicidio della nostra tradizione culturale, che aveva caratteristiche proprie, per storia, ma anche per i rapporti con il mondo mediterraneo, con quello balcanico, con quello francese e nord-europeo. Forse abbiamo perso del tutto la nostra capacità d'interpretazione, di bricolage dei saperi e delle pratiche, e me ne accorgo leggendo commenti sui social network dove oltre a varie lamentazioni intravedo una mancanza di curiosità che gela l'animo, se non in alcune nicchie.
C'è stato in questo anche la grande illusione del made in Italy, dove creatività italiana era solo capace di fashion e food, per dirla con termini contemporanei, dando l'impressione che questo paese potesse solamente dare cibo dell'apparenza oppure occhiali da sole molto costosi. Tutto questo perchè la stagione dei micro e macro movimenti, dal basso, spontanei, doveva morire, e quindi la nuova linfa per l'apparato produttivo. M'interrogo sul perché i fenomeni migliori sono stati rifiutati dal ciclo produttivo, mentre sono state prese solo alcune delle persone migliori, subito però messe a regime nei ranghi di produzioni più pigri.
In fondo la produzione pop, quella alternativa, uso il termine in opposizione al mainstream, c'è stata, ha anche avuto successo, però non c'è stato investimento, nessuno ha scommesso su queste innovazioni. Questo passa per me nel pensiero che ha voluto separate cultura e intrattenimento, come se fossero nemici, antitetici, dimenticando il ruolo storico che in questo paese c'è stato al di là tutto della cultura "ufficiale" - gente che ascoltava Battisti di nascosto però. Eppure basta guardare gli spettacoli pieni di Ascanio Celestini e Marco Paolini, oppure come storicamente la Disney Italia dei fumetti, abbia salvato la triade di Topolino, Paperino e Pippo, certo non roba da poco. Ricordare l'esplosione della musica tradizionale rivisitata o del teatro dialettale.
La cultura è un organismo pulsante e vivente, eppure lo si vuole appiattire sulla conservazione. Certo che è primario salvare Pompei e Sibari, ma cosa ne faremo poi? Tutti possiamo amare un testo di Heidegger e poi guardare un cinepanettone, è inutile nasconderci dietro maschere per questo. L'obiettivo è cercare di costruire dei prodotti medi che integrino noi come italiani, europei, occidentali, con pregi e difetti, senza lasciare nulla al caso. Da crocevia, nodo si scambio e influenze, siamo passati a parcheggio di sosta.
Simone Corami | @psymonic