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Quo usque tandem, giallisti?

Creato il 14 agosto 2012 da Dallenebbiemantovane

(attenzione: spoiler)

Roberto Costantini

Tu sei il male

P. 672 , 6° ed.
Euro 22,00
2011
isbn: 978-88-317-0976-7


Nutrivo grandi aspettative per quest'opera prima di tale Roberto Costantini, manager sessantenne, peraltro persona simpatica e in gamba, vista a una presentazione del libro.

Grandi... diciamo pure enormi: proporzionate al volume (672 pagine).

 

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Sei edizioni, per settimane nella top ten della narrativa italiana, in corso di traduzione in 9 paesi. Il primo volume di una straordinaria trilogia poliziesca. Tu sei il male è un thriller di rara potenza e travolgente intensità, strilla - giustamente trionfante - il sito di Marsilio, i cui editor si fregano le mani all’idea di avere scovato lo Stieg Larsson italico. Menzione speciale al Premio Scerbanenco 2011: "Un'opera prima che si rivela come una grande promessa della narrativa noir."


Per poi citare una carrellata di giudizi entusiasti e, date le fonti, spesso autorevoli:
<<Tu sei il male mi è piaciuto tantissimo, sono stata totalmente catturata dalla storia, dai personaggi, dallo stile>> Alicia Giménez-Bartlett
<<Un vecchio delitto senza soluzione. Un killer che rispunta dal passato. Il perbenismo di ieri e il razzismo di oggi che si saldano nell'ombra. Dietro ogni verità apparente, se ne nasconde sempre un'altra. Questa è l'Italia, commissario Balistreri: e neanche la tua forza malata riuscirà mai a cambiarla>> Giancarlo De Cataldo
<<Un capolavoro>> Antonio D'Orrico, Corriere della Sera
<<Il giallo della stagione>> 
Giovanni Pacchiano, Il Sole 24ore

<<Costantini si rivela, al suo debutto, un maestro assoluto>> Antonio D'Orrico, Corriere della Sera
<<Dire che Tu sei il male è il giallo della stagione è dir poco: non ci capitava di leggerne uno così ben costruito e appassionante dal tempo di Uomini che odiano le donne>> Giovanni Pacchiano, Il Sole 24ore
<<Uno di quei romanzi che uno ha voglia di tornare a casa per continuare a leggere>> Corrado Augias, Il Venerdì di Repubblica
<<Il commissario Balistreri è una delle figure più insolite (e riuscite) della nostra recente narrativa noir>> Antonio Gnoli, La Repubblica
<<La forza di Tu sei il male, oltre che nella costruzione di un personaggio singolare e scomodo, sta nel coraggio di aver cercato di raccontare "il declino italiano" in un ventennio>> Luca Crovi, Il Giornale
<<Tu sei il male è costruito su un meccanismo infernale che si tiene perfettamente dalla prima all'ultima pagina>> Brunella Schisa, Il Venerdì di Repubblica
<<Un noir complesso, ambizioso, che racconta il nostro Paese e la nostra epoca, la tensione, la follia e la calda umanità>> Elle
<<Tu sei il male è molto più di un romanzo di genere, è la fotografia di un'Italia malata>> Il Fatto Quotidiano

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Tutte le opinioni, sia quelle oneste sia anche quelle prezzolate, alla fine hanno lo stesso peso sulla bilancia, cioè un minimo di valore, purché motivate. E la mia modesta opinione è che questo libro, pur non essendo una ciofeca assoluta, non valga tantissimo, né sotto il profilo letterario, né nello specifico giallistico, né tantomeno sotto quello sociale.

Ovvio che sarà il tempo a confermarne la solidità, anche se, visto il trend, può darsi benissimo che tra un paio d’anni il Costantini sia dimenticato e sostituito da altri più di moda, più recenti, più “nuovi” di lui. Così come può darsi che i prossimi Costantini mi sorprendano positivamente per un’evoluzione imprevista rispetto alla linea già tracciata (benché la programmazione come trilogia non mi lasci ben sperare in tal senso).

Quello del giallo è un mercato che si autoalimenta, su cui negli ultimi dieci anni gli editori hanno puntato moltissimo, gettando sempre nuova benzina sul fuoco; ma ogni fuoco è destinato a spegnersi, se manca ossigeno.

E l’ossigeno, checché ne dica e speri l’industria di settore, non è la filiera produttiva: sono i lettori.

Per quanti anni ancora, mi chiedo, il lettore medio-alto, quello appassionato, quello che compra almeno una volta al mese, o fa altrettanto con la biblioteca, può sopportare una mole di gialli, noir, thriller, legal thriller, splatter pari a quella di cui siamo stati inondati negli ultimi due lustri?

Perché, diciamolo, noi siamo quelli che da bambini si sono scodellati (con l’entusiasmo dei bambini) tutta Agatha Christie, tutto Conan Doyle, e dopo chi ha approfondito Van Dine, chi Rex Stout, chi l’Ellery Queen delle riviste.

Per poi scovare i racconti gialli perfetti, magici, di Poe. Per poi (meglio se da adulti, qui siamo ad altri livelli) scoprire l’alternativa e opposta perfezione nella semplicità di un Simenon, nei suoi Maigret, nei suoi non-Maigret. Chi ama il filone psicologico non di rado si è buttato anche sulle atmosfere torbide di Patricia Highsmith, americana assolutamente atipica.

E poi, volenti o nolenti, spesso entusiasti, ci sono toccati tutto Camilleri, tutto Larsson, tutti i giallisti svedesi, norvegesi, danesi, financo islandesi che Dio ha mandato in terra. Oppure tutti gli americani, chi specializzandosi nei serial killer di Deaver, chi nei McBain o Connelly, chi nel della Cornwell o della Reichs (con pari o anche maggior apprezzamento del corrispondente televisivo, ad esempio io ho una dipendenza da Csi, quello di Las Vegas, NON gli spin-off).

C’è perfino chi, in vena di nostalgia, è tornato al neoclassico con le trine e i merletti di un’ingessatissima P.D. James o addirittura della neovittoriana Anne Perry.

E trascuro qui di analizzare il filone noir, che, l’ho già scritto dappertutto, in realtà filone non è, esulando ideologicamente e strutturalmente dal vero giallo.

Il giallo “tira” così tanto che ci si sono buttati in troppi, a volte con risultati anche apprezzabili, e lo dico perché spesso piacciono anche a me: greci, turchi, francesi, inclusa una valanga di italiani. Ma se guardo ai risultati, devo ammettere che se mi sono piaciuti è stato per le atmosfere esotiche (la Aykol), l’umorismo (la Giménez-Bartlett, Camilleri), lo sperimentalismo linguistico e l’analisi sociale (ancora Camilleri), il mix di ¾ sociologia e ¼ umorismo (Markaris), il tono fiabesco-mitico-surrealista (Fred Vargas).

Come gialli, spesso fanno acqua da almeno un paio di paratie, o concentrano tutto sull’investigatore tormentato, in salsa svedese (Signore, pietà), o a metà romanzo hai già indovinato il colpevole. Si fanno perdonare perché ormai è passata nel lettore l’idea per cui il giallo è il vero romanzo sociale e neorealista del nostro tempo.

Da noi, basta fare un giro in qualsiasi libreria, sono proliferati i giallisti alla Markaris. Tanti, tantissimi, al punto che farei un torto agli altri citandone qualcuno.

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Tutto ciò per dire che in Costantini, nelle faticosissime, sudate 672 pagine del primo Costantini, io ritrovo tutti gli elementi del giallo italiano medio: forte analisi sociale, una spruzzatina ina ina di umorismo, un investigatore tormentato dai rimorsi. La novità è forse un racconto di lunghissimo periodo (dal 1982 al 2006, con frequenti flashback nella storia personale del protagonista, prima bambino inquieto in Libia, poi studente di estrema destra tentato dalla violenza negli anni Settanta, con un’oscura esperienza nei servizi segreti che ha preceduto l’ingresso in polizia) e, in definitiva, l'ambizione di costruire un romanzo storico sull'ultimo trentennio in Italia.

L’uso della lingua di Costantini, devo dirlo, non mi piace. Pecca nei troppi preamboli, nelle troppe spiegazioni, e preterintenzioni, e ripetizioni, quasi a temere che il lettore sia un po’ tardo.

La sua sintassi è farraginosa, qua e là addirittura di duplice interpretazione, i dialoghi retorici e, incursioni dialettali a parte, pietosi per inverosimiglianza e per la mancanza di uno sforzo di differenziazione di personaggi che non hanno e non si vede come possano avere tutti lo stesso background psicologico e socioculturale. Sconcertanti poi certi dialogati naif con rom dichiaratamente analfabeti che conoscono paroloni sconosciuti al cittadino italiano medio.

Non mi sembra insomma che la Marsilio gli abbia reso un gran servizio, pubblicandogli e dando tanta risonanza a un romanzo che avrebbe necessitato di ben altra revisione linguistica. Capisco e quasi mi aspetto, cioè, da un nuovo autore, che possa avere qualche ingenuità; da una casa editrice che ha fatto i miliardi con Larsson, no.

E passiamo alla storia gialla. Lungo periodo, dicevo. Ottimo.

Ci sta anche che l’investigatore sciatto e frettoloso e distratto dal Mundial dell’82 si lasci gabbare da bugie, omissioni etc., per poi scoprire faticosamente la verità solo con ventiquattro anni di ritardo, crea anche un notevole pathos.

Se non fosse che, per arrivarci, a questa verità, il lettore è costretto a un tour de force neuronale.

Sì, perché, per arrivare alla verità, il disgraziato Michele Balistreri è costretto a sudare sangue tra successivi delitti, esecutore 1, esecutore 2, che però agisce anche in proprio, che però ha anche un mandante, che è suo padre, anzi, sono i servizi segreti. Non senza il contorno di poliziotti corrotti che gli mettono i bastoni fra le ruote, finendo giustamente ammazzati dai cattivi che non vogliono testimoni scomodi.

Il fatto è che noi sudiamo sangue con lui. Una fatica della madonna, diciamocelo, un eccesso di complicazioni con molte punte di ridicolo, alla Faletti (e non è un complimento). Arriva il punto in cui tu, esausto, o prendi appunti, o perdi il filo, tra tanti fili tirati.

Fino all’esagerazione barocca, incredibile, imperdonabile: l’accumulo di visite alla persona, al corpo esanime e infine al cadavere della prima vittima, attorno a cui nel volgere di un paio d’ore passano: pedinatore, stalker, feritore, incisore di lettere, testimone, strangolatore, mandante di becchino e finalmente il becchino che pensa bene di buttarla nel Tevere non senza aver aggiunto un tocco di ulteriori dettagli macabri. Echeccazzo! Nemmeno Poirot in Assassinio sull’Orient Express avrebbe potuto arrivarci! Mi sembrano chiari i rimandi ai vergognosi casi di Emanuela Orlandi, con i suoi depistaggi vaticani e criminali, e di Simonetta Cesaroni, in cui indagini sciatte e frettolose hanno impedito per sempre un esito soddisfacente, ma così è troppo.

E purtroppo altri difetti strutturali appesantiscono questo romanzo: non soltanto la continua analisi e controanalisi, e verifica degli alibi, e controverifica degli alibi da parte del commissario e dei suoi collaboratori, che ci sta; ma anche l’accumulo delle loro intemperanze caratteriali e storie d’amore e di vendette private (inclusa una pesantissima Linda Nardi giornalista); la loro psicologia da feuilleton, a partire dalle incongruenze dello stesso Balistreri; la retorica e tronfia sicurezza di possedere la Verità Rivelata, trasudata da analisi sociologiche e politiche che non dovrebbero fare né l’autore (e lo fa in continuazione intromettendosi nella storia manco si credesse Manzoni), né i personaggi, a meno che il dialogo lo giustifichi davvero (e invece, comizi e siparietti politici come se piovesse, da parte di poliziotti, baristi, prelati e perfino assassini!).

Lo dico chiaro e tondo: nel romanzo, tanto più nel giallo, il comizio politico non ci può stare. Deciditi: vuoi fare il pamphlet contro il razzismo e l’opportunismo dei politici italiani? Ottimo: datti alla saggistica. O alla politica direttamente.

Tanto più che il romanzo avrebbe già, nella tortuosa evoluzione del protagonista, una sua convincente weltanschaaung, a partire dagli interrogativi del ragazzino inquieto su danni e benefici del colonialismo italiano in Libia; sulle sue assolute certezze postfasciste di gioventù; sull’edonismo superficiale dei suoi primi anni di lavoro; sul suo crollo psicologico post ’82, nel quale come non vedere il crollo di una certa Italia da bere; sulla sua faticosa rielaborazione del lutto, con la conseguente accettazione della complessità del mondo e dell’impossibilità di distinguere nettamente il bene dal male.

In questo senso il titolo del romanzo, che si scoprirà infine provenire da una canzone heavy metal satanica, è ben scelto, efficacissimo e autoironico. Chi è il male?

Non è solo l’assassino (anche perché ce ne fosse solo uno, qui, magari!)

È l’investigatore pigro e ignavo (Balistreri).

È chi ha depistato un’indagine con bugie e omissioni (Valerio, il cardinale, la portiera...).

È chi fa danno perché crede di avere la verità in tasca (la Chiesa cattolica).

È una politica malata, ignorante, demagogica.

È un popolo sempre pronto a tradire per il prossimo tribuno della plebe che fa promesse a buon mercato.

(ad libitum)

 

 


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