Federico Fellini, disegno per Satyricon: Vernacchio
Vado ad assistere alla presentazione di un libro, a un certo punto si parla del rapporto tra cinema e letteratura, di come scrittori e cineasti hanno raccontato Roma, una persona del pubblico prende la parola, dice di non capire l’interesse degli artisti per le terrazze romane, dice che la peculiarità di Roma non sta nel mondo dei salotti, dice che non si spiega perché, per esempio, gli artisti non si interessano mai del papa, dice pressappoco così, dice che il papa sarebbe un argomento interessante.
Nel Grande Nulla ultimamente si lavora a un progetto per trovare un’occupazione ai rifugiati politici, c’è un impiegato che si rifiuta di lavorare al progetto, dice che lui “coi negri nun ce lavora”, l’impiegato ha un computer su cui poltrisce tutto il giorno, sullo schermo ha la foto della cancellata d’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz con la scritta “Arbeit macht frei”, l’impiegato ha sempre freddo, in ufficio si è portato una stufa elettrica e la tiene accesa tutto il giorno, indossa maglioni pesanti anche a fine maggio, è molto cagionevole di salute.
C’è un punto importante che divide gli artisti romani dai non romani nel raccontare Roma. Per i non romani Roma è una città briosa, truculenta, comica, vitale, immensamente provinciale. Per i romani è una città tragica. Nel raccontare Roma, i non romani hanno mediamente più successo dei romani per un motivo preciso: perché il mondo è composto in maggioranza da non romani.