Qualcuno avrà dimenticato la rubrica che ospita i racconti inviatomi dai lettori di questo blog, ma non io! Qualcuno avrà dimenticato questo blog, ma non io! Qualcuno avrà dimenticato… Beh, anche io. Se ricordate cosa ho dimenticato, inviatemi una Edvige con un messaggio. Ma cacio sulle brande. Prima di tutto mi scuso per aver abbandonato questa rubrica. Per dimostrarvi ulteriormente la mia colpa, mista a un’ingrata vergogna, vi comunico che questo racconto mi è stato inviato l’11 dicembre del 2009. Che razza di merda sono? Mi inviaste tantissimi racconti quando aprii questa rubrica, e credetemi quando vi dico che ero entusiasta per la risposta ricevuta. Sapevo, e so, che questo mio blog è poco visitato, quindi vedere arrivare tutti quei racconti mi rese appagato.
Poi però ho abbandonato un po’ internet, e con internet il mio blog, e con il blog la rubrica. Ma suppongo che ve ne siate accorti. Ora cercherò di riprendere un po’ le redini di tutto.
Ma calcio alla banda. Il racconto di quest’oggi è particolarmente bellissimo. Non che gli altri mi facessero schifo, anzi, sono stato abbastanza fortunato, cosicché non ho dovuto fingere che mi piacessero. Il racconto di oggi mi piace particolarmente perché ha due caratteristiche che mi piacciono molto in racconto: è breve e diretto. L’autrice è Cecilia, il suo blog è starcrossed.tumblr.com. Poiché il racconto è breve non voglio anticiparvi nulla per non privarvi del gusto della sorpresa. Anzi, vi anticipo che è un racconto che contiene virgole e punti, ci sono addirittura punti e virgola! E un passerotto.
Le ossa cave.
di Cecilia
Edel aveva gli occhi violenti di chi ha ricevuto troppi schiaffi e non li ha mai potuti ( non ne ha mai avuto la forza? non ha mai voluto? ) restituire. Accovacciato sotto il grande pioppo spoglio, osservava un passerotto intento a zampettare sul ramo sottile.
Adesso cade, continuava a pensare.
Invece il passerotto non cadeva mai – e ad un certo punto, dopo essersi accovacciato come Edel, inclinò la minuscola testa e ricambiò lo sguardo del ragazzo. Edel era come ipnotizzato e avvertì che la sua anima stava uscendo dalle sue gambe piegate, dalle sue braccia contratte, come se un secondo Edel si stesse staccando dal primo, l’originale.
Poco dopo, era seduto accanto al passerotto, sul ramo. Il suo corpo, là sotto il pioppo, non aveva cambiato posizione: era solo più rilassato, i muscoli distesi come quelli di un serpente languido. Ma era un involucro vuoto e senza vita.
Non che ci sia poi così tanta differenza, pensò Edel.
Il passerotto spiegò le ali e spiccò il volo; Edel si sentì solo, di nuovo.
Si mise in piedi sul ramo, allargò le braccia e saltò; gli occhi vacui del primo Edel lo fissavano senza vederlo.
Non cadde. Non precipitò. Non morì per la seconda volta.
Scoprì che stava salendo verso l’alto e udì una bambina che gridava, indicandolo:
« Guarda mamma, un pettirosso! »
Edel chinò il capo e notò la nuova livrea rossa che gli ricopriva il petto.
Avvertì la durezza ossea delle labbra e sentì di essere leggero come non era mai stato.
E volò via.