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Racconto: L’alto mare

Creato il 03 gennaio 2012 da Zetaman
Felice 2012, amici! C'è un piccolo regalo per voi. Dedicato a voi che ci leggete nel blog e a voi che siete impazienti di tornare ad ascoltarci alla radio (tranquilli, il nostro programma sarà di nuovo on air il prossimo sabato sera): è un racconto scritto da una nuova penna della nostra squadra.
Si chiama Sabrina Minetti. Di giorno lavora come insegnante, progettista e ricercatrice di formazione. Di notte scrive. Ha pubblicato il romanzo “L’isola dei voli arcobaleno” (Autodafé Edizioni). Benvenuta a Siamo in Onda, Sabrina!
Devo raggiungere la sommità delle alture per capire dove mi trovo. Cercherò di riprendere le forze e poi affronterò la salita. Magari da lassù riuscirò a scorgere qualcosa. Da qui vedo delle piccole terre emerse, lontane, che affiorano sul blu del mare. Non so dove mi trovo. Probabilmente su un’isola. È possibile che io sia naufragato sulla costa continentale, ma temo di doverlo escludere. Quando l’aereo ha cominciato a perdere quota e abbiamo tentato l’ammaraggio mancavano circa due ore all’arrivo. Siamo finiti in mezzo all’oceano, chissà dove.
Sono stato in acqua tutta la notte, sorretto dal giubbotto di salvataggio, e infine, dopo essere svenuto per lo sfinimento, mi sono risvegliato su questa spiaggia, sotto un sole accecante; dunque questo luogo non può essere molto distante dal punto in cui l’aereo si è posato fra i flutti e ci hanno fatti scendere in acqua con gli scivoli gonfiabili, prima che il velivolo affondasse.
Ho sete, una sete terribile, devo alzarmi da qui o il sole mi brucerà vivo. Devo sforzarmi. Devo raggiungere quelle palme e mettermi all’ombra.
Ci staranno cercando. Mi staranno cercando. Forse gli altri passeggeri sono già in salvo. Non devo scoraggiarmi.
Ci staranno cercando e perlustreranno le terre emerse in questo tratto di mare, per trovarci. Per trovarmi. Sto cercando di convincere me stesso. In realtà non sono così sicuro di quello che mi sto dicendo. Quanto potranno durare le ricerche? Quanti mezzi potranno essere impiegati? Potrei essere l’unico disperso che manca all’appello. Chi scomoderebbe uomini e mezzi per cercare un solo naufrago? Mi avranno già dato per spacciato. Dolce Minou, sarai disperata. Anche tu mi credi morto? Come vorrei poterti dare mie notizie! Ma non posso. Non ho modo di comunicare. Mi auguro soltanto che qualcuno ti stia facendo coraggio, che tengano viva la tua speranza. Se speri che io sia vivo, farai di tutto perché le ricerche proseguano. Sei una donna combattiva.
È ancora presto perché decidano di abbandonare le ricerche, sono trascorse solo poche ore. Mi staranno cercando.
Ho raccolto tutte le mie forze e mi sono arrampicato fin sulla sommità del rilievo verdeggiante che si innalza alle spalle della spiaggia, oltre il palmeto. Da lassù ho visto l’isola su cui sono approdato, sospinto dalle onde. Intorno a questa, disseminate nel mare, ho distinto molte altre piccole isole orlate di sabbia e coperte di vegetazione. Almeno così mi pare, scrutando in lontananza. È una cosa curiosa. La mia isola è fatta a forma di “M”. Una “M” maiuscola. Come l’iniziale del tuo nome, mia adorata Minou. È davvero strano che io, solo su questo angolo di terra sperduta, riesca a stupirmi di questa cosa. Di questa sorprendente coincidenza. Dovrei essere disperato. Dovrei aver perso il lume della ragione da tempo. Il mio futuro è così incerto, e sospeso nel nulla, che se ci penso provo la stessa sensazione che tante volte mi ha vinto guardando il cielo, di notte, e considerando l’infinità dell’universo. Invece ora, dopo ogni tramonto, la volta oscura sopra di me, e le stelle che vibrano in essa, mi sono compagne. Mi sembrano così vicine, nella mia solitudine. Temo di impazzire. Ma non impazzisco. Ogni giorno, seguendo il giro del sole, riempio le mie giornate di piccole incombenze. Raccolgo frutti e bacche. Mi lavo e mi disseto alla fonte che sgorga dalla collina. Cerco di fissare nella mente le parole e i pensieri che non so dove appuntare. Ammonticchio piccole fascine di rami e di frasche, con le quali ho imparato ad accendere il fuoco. Alimento le fiamme nelle ore di buio, nella speranza che qualcuno le avvisti dal mare, o sorvolando l’isola. Ormai conosco le rotte degli aerei e gli intervalli di tempo che trascorrono fra un passaggio e l’altro delle loro scie nell’azzurro o dei bagliori intermittenti delle loro luci di posizione nell’oscurità, appena più brillanti dei lenti satelliti che solcano lo spazio.
La luce azzurrata dell’aurora filtrava appena attraverso la tela grigia calata sui finestrini, senza svegliare i passeggeri ancora addormentati. Un buon odore di caffè e il lieve tintinnio dei carrelli provenivano dal vano in cui le hostess stavano preparando la colazione.
Joel aveva aperto la tendina e guardava giù, verso l’oceano. L’aeroplano stava virando dolcemente e al bambino sembrò che stesse compiendo un ampio giro su se stesso.
“Mamma!” chiamò sottovoce, ma concitato.
“Che c’è, Joel?” gli fece eco la donna, mugugnando, senza volersi svegliare completamente.
“Stiamo passando sopra delle isole…”
“Mmh…”
“Ci sono delle isole sotto di noi…”
“Si?”
“Stiamo volando sopra un’isola… a forma di «M», mamma, e ce ne sono altre… ci sono tante isole e hanno la forma delle lettere dell’alfabeto… ci sono tutte, mamma!”
“Dormi, Joel, è solo un sogno…”
La donna si sistemò sul sedile, cercando una posizione più comoda, per continuare a dormire.
Joel fece una smorfia di rassegnato disappunto. Tornò a guardare fuori.
Il naufrago era in piedi accanto al falò, e seguiva con lo sguardo offuscato dalle lacrime la sagoma bianca dell’aereo che, dopo aver compiuto un ampio giro sopra l’isola, aveva ripreso la sua rotta e si stava allontanando. “Mi hanno visto! Hanno visto il fuoco! Hanno sorvolato l’isola per farmi capire che mi hanno visto!” si stava dicendo, sopraffatto dall’esultanza, incapace di muoversi per l’emozione.
Joel si distolse dal finestrino e prese uno dei suoi quaderni e una penna dallo zainetto che teneva appoggiato tra i piedi. Minou, la sua maestra, andava molto fiera dell’ordine con cui lui teneva le sue cose di scuola.
Sull’isola a forma di “M” gli era sembrato di distinguere un ignoto balenio. Forse un fuoco, aveva considerato. Era stato sul punto di dirlo a sua madre, ma aveva visto che lei si era di nuovo assopita, e ci aveva rinunciato.
Il bambino abbassò il tavolino, aprì il Quaderno delle storie e cominciò a scrivere: “Devo raggiungere la sommità delle alture per capire dove mi trovo. Cercherò di riprendere le forze e poi affronterò la salita. Magari da lassù riuscirò a scorgere qualcosa all’orizzonte. Da qui vedo delle piccole terre emerse, lontane, che affiorano sul blu del mare. Non so dove mi trovo…”.
L’aereo intanto proseguiva il suo viaggio, sovrastato da un panneggio di nuvole. Intorno l’aria tersa si spandeva a perdita d’occhio, percorsa dal chiarore dorato dell’alba. Il disco rosso del sole stava sorgendo all’orizzonte. Le isole del remoto arcipelago delle Alphabet Islands galleggiavano, sparse sull’immensa distesa color ardesia del mare.
L’alto mare di Sabrina Minetti

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