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RASSEGNA STAMPA/ Il caso Tortora tra realtà e fiction

Creato il 03 ottobre 2012 da Iltelevisionario

RASSEGNA STAMPA/ Il caso Tortora tra realtà e fictionRassegna stampa dedicata alla miniserie di Raiuno Il caso Enzo Tortora. Dove eravamo rimasti?, diretta e interpretata da Ricky Tognazzi. La prima puntata, trasmessa domenica 30 settembre, ha ottenuto 4 milioni 771 mila telespettatori pari al  19.12% di share mentre la seconda, in onda lunedì 1 ottobre, è stata seguita da 5 milioni 715 mila telespettatori (20.59%). La fiction, liberamente ispirata ai libri “Applausi e sputi – Le due vite di Enzo Tortora” di Vittorio Pezzuto e “Fratello segreto” di Anna Tortora (editi da Sperling & Kupfer Editori), ripercorre la vicenda giudiziaria del noto conduttore televisivo che nel 1983, proprio all’apice della sua carriera, venne arrestato con l’accusa di essere “affiliato” alla Nuova Camorra Organizzata per poi, quattro anni dopo, essere assolto con formula piena da tutte le infamati accuse. La figlia, Gaia Tortora, giornalista del Tg La7, ha definito la fiction “mediocre” sul suo profilo Twitter, aggiungendo che si tratta di “surreali ricostruzioni”.

«Caso Tortora» narrato con decoro

(L’indice di Mirella Poggialini – L’Avvenire) Ha due accezioni Il caso Tortora (sottotitolo, Dove eravamo rimasti?). La vicenda drammatica che ha coinvolto e travolto Enzo Tortora, idolo televisivo del grande pubblico negli Anni ’80, e il più riduttivo e attuale conflitto che ha opposto la famiglia del conduttore a Ricky Tognazzi, regista e interprete della fiction biografica che nella prima puntata su Rai1, domenica scorsa, ha contato 4.771.000 spettatori, share 19,12%. Un risultato decoroso per un lavoro altrettanto decoroso, soprattutto nel delineare l’amara esperienza dell’uomo ridotto in carcere e a un’altra vita a lui estranea. Tognazzi ha dato al protagonista un volto mesto, lontano da quello reale: ma il rischio calcolato delle rievocazioni televisive di personaggi vicini nel tempo è quello di toccare, oltre a un pubblico vasto e incuriosito, anche rapporti privati, difese familiari, affetti gelosi, giustamente pronti alla rivendicazione di figure amate e forse travisate. Resta, comunque, Tortora come simbolo di una ingiustizia sofferta: e questo spiega in qualche misura il successo di agiografie magari semplicistiche nelle quali il senso del bene e del giusto si scontra con vicende nelle quali l’ingiustizia appare minaccia. E di questi tempi, mentre la cronaca affastella testimonianze crudeli di inganni e bugie di cui tutti siamo vittime, il senso del giusto è un tasto dolente che tuttavia attrae e coinvolge.  Il ricordo di Tortora conduttore coinvolgente e ironico, popolare e ammirato, diventa appello a una tardiva richiesta di bene: il simbolo di una necessità che lo spettatore sente come sua e che lo porta a una com-passione spontanea. E se poi la realtà e la verità appaiono spesso clamorosamente contrastanti, lasciando ancor più disorientato chi vi riflette, davanti al piccolo schermo, è pur sempre, la morale della storia, una richiesta di bene e riscatto, da rispettare.

Enzo Tortora, vittima di giudici e stampa

(di Vittorio Roidi – Il Manifesto) Ricordando Enzo Tortora la giustizia italiana fa i conti con i propri orrori. Perché quello di Tortora, non fu un errore, ma un orrore, una storia di malagiustizia, una vergogna. E’ straordinario scoprire che i pubblici ministeri, a quei tempi incaricati di svolgere la parte dell’accusa, abbiano poi fatto carriera. Altro che responsabilità dei giudici: sono stati generosamente premiati. Nonostante le sviste, l’omonimia, lo spirito persecutorio nei confronti del popolare presentatore. Tortora era il pesce grosso, finito dentro la loro inchiesta sui traffici di droga. Non volevano farselo scappare. Per questo presero per oro colato qualsiasi pentito (perfino Barra!). Per questo non controllarono neppure il nome e il numero, su quell’agendina telefonica, salvo poi accorgersi che non si trattava di Tortora ma di Tortona. Questa vicenda fu una delle pagine più oscure della nostra storia giudiziaria. Giusto raccontarla, come fa la fiction della Rai, a chi per ragioni di età, non l’ha potuta conoscere.  Ma c’è un secondo aspetto, al quale in trenta anni si è sempre dedicata minore attenzione. E sono le vergogne che riguardarono il nostro mestiere, che coinvolgono anche vasti settori del giornalismo. I giornali riportarono le notizie che uscivano dall’inchiesta? No, non è così. Ci furono articoli, titoli, commenti, velenosi, odiosi, che coprirono Enzo Tortora di disprezzo, che lo condannarono subito, dipingendolo come un bellimbusto, famoso e camorrista. Quegli articoli e quei titoli vennero subito dimenticati, perfino quando Tortora (in appello) fu poi assolto. Perfino quando morì di cancro dopo aver vinto la sua battaglia ed essere tornato in tv, la sera del famoso: «Dove eravamo rimasti?». Uno dei pochi aspetti positivi di quel dramma fu la decisione di non pubblicare più foto di persone arrestate con le manette ai polsi. I giornalisti ammisero che era un’umiliazione intollerabile per chi non era stato ancora giudicato (e forse anche per un essere umano condannato). Ma per i giornalisti italiani discutere di Tortora, seriamente, significa oggi discutere del modo di fare cronaca. E’ forse cambiato? O è lo stesso? Dopo tanti anni, se uno legge e ascolta i resoconti della maggior parte dei cronisti trova una tecnica giornalistica non molto distante. Si prendono per buone le accuse; si fanno titoli nei quali l’accusato sembra colpevole; si dimentica che la giustizia, di fronte a quell’essere umano caduto in trappola, deve ancora fare il proprio corso.  È vero. In mezzo c’è stata una riforma del codice di procedura penale che offre maggiori strumenti alla difesa. Ma i pubblici ministeri sono ancora le fonti principali dei giornali e la presunzione di innocenza è solo un principio scritto solennemente nella Costituzione. I giornalisti si sono dati alcune regole deontologiche, ma è altrettanto evidente che le cronache di oggi somigliano ancora troppo a quelle di allora. Per questo dobbiamo e vogliamo ricordare Enzo Tortora.

Processi show e pentiti a tempo. Dopo Tortora nulla è cambiato

(di Alessandro Gnocchi - Il Giornale) «Dove eravamo rimasti?». Con queste parole Enzo Tortora tornava in televisione nel febbraio 1987 dopo essere stato vittima della più sconvolgente vicenda di malagiustizia all’italiana. E proprio Il caso Enzo Tortora – Dove eravamo rimasti? si intitolava la miniserie andata in onda con successo su Raiuno ieri e l’altroieri. Una ricostruzione forse modesta dal punto di vista artistico, come molti hanno fatto notare. Ma in fondo cosa importa se Ricky Tognazzi non sembra a suo agio nei panni del protagonista? Nulla. Conta aver raccontato una storia che illumina non solo il passato ma anche il presente. Infatti lo sceneggiato, che si apre con l’arresto del conduttore di Portobello, avvenuto alle quattro di mattina del 17 giugno 1983, potrebbe anche riferirsi a fatti avvenuti ieri. Turba scoprire come i momenti salienti della storia non siano lontani dalla cronaca recente e propongano al pubblico temi di stretta attualità. Tortora fu dato in pasto alle telecamere: prima di essere accompagnato fuori dalla questura, con le manette in vista, fu trattenuto sei o sette ore al fine di attendere la luce migliore per le riprese televisive. Ed ecco la giustizia spettacolo.Prima e dopo questo episodio, vediamo i pentiti, Pasquale Barra in particolare, ma anche Giovanni Pandico e Gianni Melluso, incastrare Tortora, rovesciandogli addosso accuse assurde: essere affiliato alla Nuova Camorra Organizzata e spacciare cocaina. Mancano però riscontri oggettivi, fino a quando non sbuca una agendina appartenuta a un camorrista, contenente nome e numero di telefono di Tortora. Un granchio colossale. Perché, come si appurerà, sulla agendina c’è scritto «Tortona» e l’utenza non appartiene allo showman. L’elenco dei delatori si allunga. Confessando, si ottengono migliori condizioni di detenzione, come scrivevano i giornali dell’epoca, e magari una riduzione della pena. Ed ecco i pentiti a orologeria. A proposito di giornali. Spesso, nella fiction, irrompono le prime pagine di quotidiani e settimanali. In effetti, le notizie uscivano a getto continuo. Ed ecco la violazione del segreto istruttorio. Quando Tortora entra a Regina Coeli, a Roma, il pubblico assiste a scene di degrado. Igiene inesistente, affollamento delle celle, detenuti in precarie condizioni di salute. È la situazione cronica di molte prigioni italiane, come ha appena ricordato il presidente Giorgio Napolitano. Ed ecco la questione carceraria.Nel cortile, durante l’ora d’aria, Tortora viene preso a male parole da un detenuto, il quale gli rinfaccia di avere importanti avvocati alle spalle. Non verrà dunque dimenticato in galera mentre altri rimangono per anni in attesa di giudizio. Ed ecco le lentezze intollerabili dei tribunali.Tortora fu condannato in primo grado a dieci anni di reclusione. La Corte d’Appello di Napoli, nel 1986, lo assolse con formula piena. Il conduttore morì a 59 anni, il 18 maggio 1988. Nel 1987, proprio sull’onda del «caso Tortora», fu votato un referendum per estendere la responsabilità civile ai giudici. Passò con l’80 per cento dei suffragi. Il problema si trascina da allora, e se ne parla in continuazione, l’ultima volta questa estate, ma nulla di concreto è stato fatto. Che fine fecero i magistrati di quel processo? Avanzarono in carriera. Ecco cosa scrive Vittorio Pezzuto in Applausi e sputi (Sperling & Kupfer, 2008), la biografia di Tortora che ha ispirato la fiction: «Felice Di Persia? Membro del Csm e procuratore capo della Repubblica di Nocera Inferiore; Lucio Di Pietro? Procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia e procuratore generale della Repubblica di Salerno; Diego Marmo? Procuratore generale presso il tribunale di Torre Annunziata; Luigi Sansone? Presidente della VI sezione penale della Corte di Cassazione; Orazio Dente Gattola? Presidente di sezione del tribunale di Torre Annunziata nonché apprezzato giurista». L’Italia può ancora specchiarsi nella vicenda Tortora. Dove siamo rimasti? A trent’anni fa.

Rai1 e il caso Enzo Tortora

(di Marida Caterini) Con la frase “dove eravamo rimasti? Enzo Tortora salutò il suo pubblico quando tornò a condurre Portobello, una volta che fu riconosciuto innocente e assolto con formula piena dalla tremenda e infamante accusa di appartenere alla camorra. Per questo motivo una mattina del giugno 1983 fu platealmente arrestato e sbattuto sotto i riflettori con le manette ai polsi. La fiction è ispirata a tre libri scritti su Tortora, tra cui Fratello segreto della sorella Anna Tortora. Ciò significa che la ricostruzione televisiva del drammatico errore giudiziario di cui fu vittima Enzo Tortora, è molto vicina alla realtà. Ma non basta. Esprimo, innanzitutto le mie perplessità sulla fiction, in quanto tutta la vicenda Tortora è stata più volte affrontata e presentata in maniera dignitosa anche sul grande schermo. Nel 1999, infatti arrivò nelle sale Un uomo perbene con la interpretazione di Michele Placido, nel ruolo del conduttore. E la miniserie con Ricky Tognazzi nel doppio ruolo di regista e attore, non aggiunge nulla a quanto era stato già detto. Inoltre sulla fiction è caduto il silenzio dei familiari di Tortora ai quali Raifiction ha inviato lo script dell’ultima sceneggiatura, senza averne in cambio un cenno di adesione. Il che non significa tacito consenso. La somiglianza di Tognazzi con il conduttore è abbastanza accettabile. Merito del trucco e forse dello studio che ha fatto  sugli atteggiamenti di Enzo Tortora. Ma la recitazione appare troppo caricaturale, marcata, esprime lo sforzo di calarsi nel personaggio a tutti i costi. Non è la migliore interpretazione dell’attore.  Bianca Guaccero nella parte dell’ultima giovane compagna, Francesca Scopelliti, appare come una sorta di ornamento nella fiction. Nel senso che non lascia il segno.  MentreCarlotta Natoli, che da il volto ad Anna Tortora, la sorella di Enzo, è davvero poco credibile. Innanzitutto viene da quattro stagioni di commedia leggera: in Tutti pazzi per amore, infatti, è un singolare personaggio femminile molto strampalato e buffo. Vederla, all’improvviso  nel ruolo serio e drammatico di Anna Tortora suscita perplessità e qualche sbandamento da parte del telespettatore, abituato al suo timbro di voce e ai suoi atteggiamenti in tutt’altro contesto. Non è stata una buona scelta. Buona, invece, l’interpretazione di Tony Sperandeo nella parte di un recluso siciliano che convive nella stessa cella di Tortora. Qui c’è anche un altro carcerato, Ruggero che è Francesco Venditti. Quindi questa è una fiction “tutta in famiglia”. Ci sono Simona Izzo che ha scritto la sceneggiatura insieme a  Giancarlo De Cataldo e Monica Zappelli, il figlio Francesco che già seguiamo in Pechino-Express, oltre naturalmente, il doppio ruolo di attore e regista  ricoperto dal compagno della Izzo, Ricky Tognazzi. Quattro bei cachet per i membri della famiglia allargata Izzo-Tognazzi-Venditti. Credibile, per la consumata esperienza, l’attore Enzo De Caro nel ruolo del giudice Mariani. Il giudice, cioè, che rivede il processo Tortora e contribuisce all’assoluzione del conduttore. Ciro Petrone, invece, che interpreta l’altro recluso in cella con Tortora è il giovane divenuto famoso con il film Gomorra e non riesce a sdoganare la sua immagine da quel tipo di filmografia. Quasi tutta la fiction è stata girata a Napoli, dove il presentatore visse il suo incubo kafkiano. Molte scene hanno avuto come palcoscenico gli interni della Rai di Napoli e di Roma, una sorta di omaggio che l’azienda ha voluto rendere al presentatore, al quale è stato legato da un rapporto altalenante e controverso. Conclusione: davvero non se ne sentiva il bisogno. Nel corso della conferenza stampa di presentazione , tutto il cast di attori e produttore, ha rigettato l’accusa di strumentalizzazione che potrebbe essere mossa al nuovo progetto Rai su Tortora.E a difesa del loro operato annunciano l’intitolazione al presentatore, morto nel 1988, di una strada di Napoli,  voluta dall’attuale sindaco De Magistris.


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