Rassegna stampa dedicata alla nuova serie di Raiuno Una grande famiglia. Dopo il buon esordio di domenica 16 aprile con 5 milioni 610 mila telespettatori (20.77% di share), la fiction con Stefania Sandrelli, Gianni Cavina, Stefania Rocca e Alessandro Gassman, ha preso il volo ottenendo nella seconda puntata in onda lunedì 17 oltre 7 milioni di telespettatori (precisamente 7 milioni 118 mila pari al 26.3% di share). La serie, scritta da Ivan Cotroneo (autore di un’altra serie cult Tutti pazzi per amore), ricorda molto Brothers&Sisters, il telefilm americano con Sally Field e Calista Flockhart chiuso dopo cinque stagioni per bassi ascolti. Infatti, come scrive Alessandra Menzani su Libero, “Se nella serie dell’Abc ambientata a Pasadena tutto parte dall’improvvisa morte del patriarca William Walker e la conseguente scoperta che l’uomo aveva pesantemente taroccato i conti dell’azienda di famiglia. Qui a lasciarci le penne dopo un quarto d’ora è Edoardo (Alessandro Gassman) che pure lui ha falsificato i bilanci, provocando un buco da 20 milioni di euro nella dita. La maggior parte delle scene di svolge a tavola, tra sorrisi e rimpianti, con i primi piani dei visi, senza parole. Come nelle fiction Usa. L’elemento clamoroso è la figura della madre-chioccia, protettiva ed affettuosa. Qui gli sceneggiatori non hanno nemmeno la fatica di cambiare il nome: si chiama Eleonora, detta Nora, come la Sally Field della serie americana. Lei è Stefania Sandrelli, bravissima. L’unica differenza di Una grande famiglia che manca il figlio gay ma ci sono le figure della nuora odiata (Stefania Rocca, soprannominata “la Trump”) e quella della segretaria attempata, quella che ne sa sempre più di tutti, interpretata da Piera Degli Esposti”.
Finalmente la fiction va oltre le biografie
(A fil di rete di Aldo Grasso – Corriere della Sera) La fiction italiana dà segnali di risveglio, tenta timidamente di uscire dal guscio del biopic (tendenza agiografica), si incammina sulla strada della complessità, sia dal punto di vista narrativo che strutturale. È il caso di «Una grande famiglia», scritta da Ivan Cotroneo (molto più bravo come sceneggiatore che come regista), Stefano Bises e Monica Rametta e diretta da Riccardo Milani (Raiuno, domenica e lunedì, ore 21.30, sei puntate). È la storia di una famiglia di industriali della Brianza, i Rengoni, colpiti da un improvviso dramma: il primogenito Edoardo (Alessandro Gassman) precipita con l’ idrovolante nel lago facendo perdere le sue tracce… Eleonora (Stefania Sandrelli) ed Ernesto (Gianni Cavina), felicemente sposati da anni, hanno messo al mondo cinque figli: Edoardo (Alessandro Gassman), Laura (Sonia Bergamasco), Raoul (Giorgio Marchesi), Nicoletta (Sara Felberbaum) e Stefano (Primo Reggiani). La storia prende le mosse il giorno del sessantacinquesimo compleanno di Ernesto, quando l’ allegra brigata si prepara a festeggiarlo a Inverigo, nella grande villa di famiglia. Se viene voglia di seguire la seconda puntata significa che qualcosa è scattato, che il racconto è avvolgente, che la mescolanza dei generi (dal drama al mistery) funziona. Rispetto alla serialità americana (che Cotroneo dimostra di conoscere bene) ci sono sempre i soliti problemi della fiction nostrana. Due in particolare. Il primo riguarda gli attori: inutile stare qui a dare i voti ma, almeno da quelli che hanno alle spalle una carriera, ci si aspetterebbe qualcosa di più. E invece il talento spesso latita. Il secondo è che i personaggi non hanno mai psicologie ben scolpite. Tendono piuttosto allo psicologismo, allo stereotipo, quell’ attitudine tutta italiana a privilegiare la brodaglia psicologica rispetto a solidi valori espressivi. Tuttavia, almeno agli inizi, «Una grande famiglia», mostra un timbro di cupa ilarità, rara avis nella fiction nostrana.
Quella grande famiglia come si deve
(Canal Grande di Antonio Dipollina – La Repubblica) A Rai Fiction dicono che stavolta c’ è un prodotto come si deve. Hanno ragione, ma hanno anche effettiva coscienza di quello che passa il convento (il loro), solitamente. E così Una grande famiglia – altre quattro puntate su RaiUno, da domenica – ridà respiro al genere: è come se qualcuno un giorno si mettesse a tavolino e dicesse “Ripartiamo dall’abc”. I Rengoni, industriali tessili, Brianza velenosa, hanno nel patriarca Ernesto il capostipite, un abisso di fragilità dopo una malattia. I cinque figli sono un compendio Istat del paese, ognuno a rappresentare una categoria: divisi e tormentati, ma senza unità non si va avanti. La crisi morde e il primogenito scompare nel nulla. Drammie dinamiche hanno intensità e lasciano il minimo agli effetti speciali: Stefania Sandrelli e Gianni Cavina guidano con saggezza, Ale Gassman e gli altri vanno oltre le convenzioni. Merito al gruppo autoriale, Riccardo Milani in regia, Ivan Cotroneo, Stefano Bises e Monica Rametta in sceneggiatura.
Alla famiglia tv serve più coraggio
(L’Indice di Mirella Poggialini – L’Avvenire) Titolo comunque accattivante, Una grande famiglia: sintetizza un tema di cui si parla e si discute come di un processo in divenire, non come una realtà incontrovertibile e necessaria di cui si è intessuta da sempre la nostra vita. E il ricondurre il titolo alla fiction – la prima puntata su Raiuno domenica sera – è mossa abile per cooptare curiosità e interesse di un pubblico notevole e trasversale: 5.609.637 spettatori, share 20,77, a gara con il filmTitanic che su Canale 5 ha contato 5.283.000 presenze, raggiungendo lo share del 24,53% in virtù del prolungamento dell’orario di visione. Idea non originale, tuttavia, che risente da vicino dell’esempio di un’altra fortunata fiction che Canale 5 propose nel 2004, Le stagioni del cuore. Aperta da un’immagine accattivante, la facciata di una grande villa ottocentesca, scrigno dei drammi a venire, la prima puntata ha presentato una sorta di scheda delle situazioni che la famiglia comasca affronterà nella narrazione. E la grande fotografia dei cinque figli, dono al patriarca, fa da indice a problemi esistenziali, in cui si riflettono le insidie che ora minano la sua compattezza. Aggressività reciproche, personaggi disegnati con rigidità per significare atteggiamenti preconcetti, tensioni che esplodono malamente, complicità ambigue: per esempio, la figlia che chiede aiuto alla religione è vista con scarsa simpatia, secondo intenti macchiettistici. Come se, malgrado la indubbia abilità di Ivan Cotroneo, lo sceneggiatore che ricordiamo anche per Tutti con amore, la storia fosse narrata stancamente, sul rigo prevedibile dei riferimenti alla società attuale e ai suoi pretesti trasgressivi. Il coraggio di andar controcorrente forse non giova all’auditel? Le prossime puntate porteranno alimento alla discussione, che avrà comunque il pregio di far riflettere sul significato insostituibile della famiglia, pur nelle sue crisi attuali.
Brothers and sisters all’italiana
(La Teledipendente di Stefania Carini – Europa Quotidiano) Problema: la fiction-copia di celebre telefilm non regge il confronto con l’originale; tale copia però è meglio di certe fiction nostrane (sai che ci vuole…); dovremmo quindi graziare la copia? È partita su Raiuno Una grande famiglia, family drama che si vuole diverso (produzione Magnolia, autori Cotroneo, Bises, Rametta, gli stessi di Tutti pazzi per amore). Eleonora (Sandrelli) e Ernesto (Cavina) Rengoni, industriali brianzoli felicemente sposati, hanno cinque figli, Edoardo (Gassman), Laura (Bergamasco), Raoul (Marchesi), Nicoletta (Felberbaum), Stefano (Reggiani), e ben tre nipoti. Il giorno del compleanno del patriarca, tutti si raccolgono nella dimora di famiglia, ma il primogenito Edoardo scompare nel lago causa incidente sul suo aereo privato. La morte (vera? inscenata? il corpo non si trova…) innesca il dramma: saltano gli equilibri e vengono alla luce le irregolarità compiute da Edo nella gestione dell’azienda. C’è qualcosa di misterioso, e pare saperlo la segretaria di fiducia del defunto (Piera degli Esposti). Con qualche variazione, siamo di fronte a Brothers and Sisters, celebre serie americana dedicata alla famiglia Walker (là moriva il patriarca). La copia è così sfacciata da volersi fare omaggio palese, e così la madre qui si chiama Eleonora con diminutivo Nora, stesso nome della matriarca di quel telefilm. I Walker, sebbene lagnosi, erano però ben più complessi: famiglia liberal con figlia attivista repubblicana (il dramma politico!), conoscevano la tragedia di un figlio in Iraq (la Storia che si fa storia) e mettevano in scena tutta la fluidità della famiglia allargata con tocco melodrammatico (figli in provetta, coppie gay, paternità dubbie). Una grande famiglia è molto più prevedibile, meno complessa, pure ridicola qua e là. I Walker non avrebbero mai pensato di tenersi a servizio due domestici di colore con tanto di divisa, o di mettersi a fare un pistolotto sul made in Italy da preservare! I Walker avevano scelto in che campo stare, i Rengoni paiono fare i furbetti buonisti, un po’ a destra un po’ a sinistra un po’ Lega. A differenza dei Walker, sono senza identità politica e forse anche senza una vera identità narrativa: se togliamo i riferimenti al modello americano, rimane poco (ovvero l’intrigo finanziario: quanto saprà esser simbolico in questa era di crisi?). Certo, se non si conosce l’originale, Una grande famiglia è un passo avanti rispetto a quel che propone Raiuno. Vuole alzare il tiro. Basterà?