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Recensione "All'improvviso bussano alla porta" di Etgar Keret

Creato il 02 ottobre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Recensione "All'improvviso bussano alla porta" di Etgar Keret

Pubblicato da Andrea V. Cari lettori,
parliamo oggi di una raccolta di racconti pubblicata a inizio settembre da Feltrinelli: All’improvviso bussano alla porta, dello scrittore israeliano Etgar Keret (in originale il titolo è in inglese, ma i racconti sono scritti in ebraico). Una nota di merito va al coraggio dell’editore nel pubblicare questa raccolta di racconti, perché, come chiunque si occupi anche lontanamente di editoria sa, questo genere solitamente non riscuote particolare apprezzamento tra i lettori (il romanzo la fa da padrone, a discapito sia delle forme di narrazione breve, sia a scapito della poesia). Prima di passare alla recensione vorrei però fare qualche breve considerazione sulle due citazioni riportate sul retro del volume: “Le storie più comiche, nere e struggenti che ho letto da molto tempo”, di Jonathan Safran Foer, e “Etgar Keret è un genio”, di un anonimo recensore del New York Times. La prima frase potrebbe trarre i lettori in inganno: si parla di storie comiche. Falso: se vi aspettate un umorismo sboccato come quello nostrano, scordatevelo; se invece vi aspettate un umorismo ebraico alla Woody Allen o alla Philip Roth – perciò un’ironia totale, cervellotica, a volte quasi impercettibile, rivelatrice della precarietà della condizione umana – siete forse su di una strada migliore. Questi, infatti, sono racconti neri (non thriller, ma portatori di inquietudine), struggenti e, aggiungerei, cinici, fino a diventare parabole filosofiche e riflessioni esistenziali. Riguardo alla seconda citazione, a parte l’evidente scopo di attrarre il lettore, stupisce che anche il New York Times faccia ancora riferimento all’anacronistica categoria di “genio”; che sia un rigurgito di Romanticismo che ancora permea anche i blasonati critici americani? (Harold Bloom ha tentato di resuscitare la categoria del genio, ma senza troppo successo). Perciò direi al lettore: “Non lasciarti ingannare… probabilmente nessuna delle due citazioni ti dice neanche lontanamente che cosa stai per leggere, o per lo meno: potrebbero darti aspettative fuorvianti. Il che è un peccato, dato che All’improvviso bussano alla porta è davvero un buon libro”. Difficile poi è scrivere una recensione di un libro di racconti; si possono evidenziare dei nuclei tematici, fare delle considerazioni sullo stile, ma è l'impressione generale quella che cercherò di delineare, cercando di rispondere alla domanda: che cosa ci dicono questi racconti, quando un lettore li legge uno dopo l'altro?
Autore: Etgar Keret
Titolo: All’improvviso bussano alla porta
Titolo originale: Suddenly, a knock on the door
Editore: Feltrinelli
Collana: I Narratori
Pagine: 187
Prezzo: 15 euro
Trama: All'improvviso bussano alla porta e uno scrittore si ritrova ostaggio di un gruppo di persone che, con la minaccia delle armi, gli intima di raccontare una storia. In difficoltà, lo scrittore cerca di cavarsela in una situazione che "ad Amos Oz e David Grossman non capiterebbe mai". In "Cheesus Christ" un uomo viene pugnalato a morte in un fast food dopo aver ordinato un hamburger senza formaggio. La vicenda ha conseguenze imprevedibili e apocalittiche che riflettono ironicamente il caos e la casualità dell'esistenza. Una delle trentotto storie brevi contenute in questo volume si dichiara esplicitamente e senza pudore come "il racconto migliore del libro". Promette al lettore una Mazda Lantis grigia metallizzata in premio se lo legge in maniera corretta, e comunque un modello più economico se non lo legge in maniera corretta, perché è un racconto che vuol far sentire bene il lettore, che non vuole creargli complessi di inferiorità. Questi sono solo alcuni dei racconti che compongono la raccolta di Etgar Keret, un libro spassoso che ha conquistato i lettori.
RECENSIONE 38 racconti. 
Il primo, che dà il titolo a tutto il volume, è una sorta di prologo metanarrativo: Keret, a differenza dei suoi colleghi Oz e Grossman (e dunque con scopo di captatio benevolentiae o di nobilitazione letteraria?), viene fatto prigioniero da alcuni personaggi surreali (questo primo racconto è l’unico ad avere veri elementi comici) e per non essere ucciso è costretto a raccontare delle storie; si tratta di una moderna Sherazad, di cui però non conosceremo mai il destino. Questo primo racconto dà una sorta di comune denominatore a tutta la raccolta: narrare ha a che fare con la vita, ma la narrazione ha anche dei conti in sospeso con se stessa. Keret alterna infatti storie di uomini con storie di storie (o storie di oggetti): la parola indaga sia l’uomo sia i propri meccanismi interni.

I racconti sono ambientati in Israele (soprattutto a Tel Aviv) o a New York, massima enclave ebraica in terra americana, come ci hanno insegnato i già citati Woody Allen e Philip Roth. I protagonisti dei 38 racconti sono spesso uomini soli, divorziati, vagamente nevrotici, alla ricerca di un senso nelle connessioni che li legano agli altri e al mondo. Keret non scrive storie sulla “condizione ebraica”, ma si cimenta con racconti che parlano di tutti, in qualsiasi parte del mondo si trovino. Questi racconti, infatti, sono quasi kafkiani, surreali, pungenti, parlano di uomini che si trovano nella vita senza riuscire a darsene ragione; qualsiasi possibilità di dare un senso scompare, anche se non scompare il tentativo ultimo di trovarlo. Ad esempio Puntura, racconto quasi pirandelliano sul tema della molteplicità dell’identità personale, ci pone davanti alla possibilità di avere una cerniera sotto la lingua, cerniera che se aperta può far emergere la nostra vera personalità e i nostri sogni, con evidenti riferimenti psicoanalitici:

[…] tese delicatamente un dito sotto la sua lingua e la trovò: una piccola cerniera lampo. Una cernierina. Ma quando lei la tirò il suo Ziki si aprì come un’ostrica e da dentro spuntò Jurgen.
Ultimamente invece mi si rizza è una storia sull’impossibilità dell’amore: il protagonista ama più teneramente il cane Nerone che non la moglie o l’amante (anche se negato dal testo, sembra comunque che ci sia una vena erotica tra uomo e cane). E su questo tema ancora, ad esempio, Acchiappa il cuculo per la coda, Livido, Ilan (fare l'amore con qualcuno che si chiama come il tuo partner è tradire?), fino a raggiungere il surreale La cagna, in cui una donna morta si è reincarnata in un quadrupede e parla al marito solamente con lo sguardo (questo racconto mi ha ricordato per certi aspetti La signora trasformata in volpe di David Garnett)! Non completamente sola invece tratta delle conseguenze, forse un po’ macabre e fantasmagoriche, dell’amare una donna fino alla morte:
Tre dei suoi corteggiatori avevano tentato il suicidio. Lei lo diceva con tristezza ma anche con un pizzico di orgoglio.
E Un altro po’ di vita è un giallo sentimentale che coinvolge due gemelli sposati con due gemelleE se l’amore ha conseguenze imprevedibili, ancora più stravagante è il mondo dei bambini: a questo intricato universo infantile appartengono ad esempio Il bambino educato, la parte finale di Cattivo karma, Che animale sei? e Un grosso autobus blu. Sembrerà un'ovvietà - ma le ovvietà hanno il pregio di dire cose vere - i bambini sono coloro che vedono più a fondo le cose; non si tratta però dei soliti bambini ingenui, ma di piccoli essere umani che già presentano le prime tracce di cinismo

Questi sono i racconti forse più tradizionali, in qualche modo. Quelli che non ho nominato raggiungono vette di eccezionale surrealismo e lascio al lettore il piacere di scoprirne il contenuto. Farne anche soltanto un riassunto sarebbe un inutile spoiler. Posso solo accennare che si va da una morte per aver chiesto un hamburger senza formaggio a un tombino popolato dalle bugie che gli uomini hanno creato nel corso della propria esistenza, da piani per uccidere una nonna antipatica a l’incontro tra tre sconosciuti invitati ad una festa dall’amante di un comune paziente.

Ultima nota a parte sono i racconti metanarrativi, cioè quei racconti che si nutrono di altre forme di testualità o rivelano la propria natura fittizia: i due Il racconto migliore e Il racconto migliore II promettono premi a chi sia in grado di leggerli correttamente e premi di consolazione per chi non ci riesce. Che cos’abbiamo in tasca ed Emorroide sono invece testi con al centro oggetti. Soprattutto in questo secondo caso viene messo in discussione l’antropocentrismo letterario: da un uomo che soffre di emorroidi, la situazione si capovolge fino a far sì che siano le emorroidi, cresciute a dismisura, a soffrire di uomo.

Keret, con uno sguardo disincantato, ci mostra l’amore, le relazioni che connettono gli uomini tra loro e gli uomini al mondo che li circonda, la mancanza di un senso totalizzante dell’esistenza e la possibilità, cambiando prospettiva, di scorgere nuove e impensate realtà. Se a volte si sente la mancanza di una narrazione di ampio respiro, questo viene compensato dall’effetto che un racconto – una, due, massimo dieci pagine – genera sul lettore: un bagliore, una colpo secco. E condensare tutto in poche righe è l’impresa più ardua per uno scrittore. Keret ci dimostra, dunque, che la narrativa israeliana ha davvero molte carte ancora da giocare.

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