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Recensione "Beatrice e Virgilio" di Yann Martel

Creato il 27 marzo 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Francesca Pegoraro

Cari lettori, oggi vogliamo parlarvi dell’ultimo nato in casa Martel, Beatrice e Virgilio, un romanzo fuori dal comune con il quale il papà di Piscine Molitor Patel, per gli amici Pi (recensione al romanzo qui e al film qui), siconferma quale narratore d’eccezione non solo per la maestria nel plasmare il linguaggio, ma soprattutto per consapevolezza artistica.

Recensione

Autore: Yann Martel Titolo: Beatrice e Virgilio Titolo originale: Beatrice and Virgil Traduzione di: Anna Rusconi Casa Editrice: Piemme Collana: Narrativa Pagine: 208 Prezzo14,50  Data di uscita: 15 gennaio 2013 Trama: Una manciata di personaggi Beatrice e Virgilio: un asino e una scimmia urlatrice. Henry: ex scrittore, famoso suo malgrado. Henry (2): tassidermista, sta scrivendo una commedia. La loro storia Henry riceve una pesante busta, in apparenza una delle tante che gli arrivano da lettori nostalgici. Sul biglietto che la accompagna, una richiesta di aiuto e un indirizzo, che lo conduce alla Tassidermia Okapi, il negozio di Henry (2), strabiliante regno di animali impagliati. Due di questi, Beatrice e Virgilio, sono i protagonisti della commedia che il tassidermista sta scrivendo, e che vuole lasciare nelle mani esperte di Henry perché non riesce a terminarne la stesura. Ma dietro la semplicità della favola la storia dei due animali è una metafora della più grande tragedia dell’umanità: «Gli animali sono stati sterminati, cancellati per sempre. La mia commedia parla di questo irreparabile abominio». E la follia che, fuori e dentro la finzione, si impossessa dei personaggi condurrà a un epilogo inatteso e drammatico. Un’affascinante storia di parole, vergogna e memoria. Una lettura inedita, visionaria e poetica.

RECENSIONE

Recensione
Secondo quanto afferma il suo creatore, il romanzo di cui voglio parlarvi, narra di una delle ahimè tante, troppe, tragedie dell'umanità: l’Olocausto. E come si fa a contraddire le affermazioni di uno scrittore quando si tratta di descrivere la trama della sua stessa opera? Sinceramente non lo so, ma in qualche modo dovrò riuscire a farlo, perché affermare che Beatrice e Virgilio è un romanzo sull’Olocausto, è tanto riduttivo da risultare inesatto, fors’anche falso: nell’opera ultima di Martel infatti c’è molto, molto di più di questo! Il primo elemento importante, che il lettore attento non potrà assolutamente fare a meno di notare, è il ritardo, se così possiamo definirlo, con cui prende avvio la storia. I fatti oggetto della narrazione, ciò che siamo usi chiamare intreccio, praticamente non sono presentati fino a pagina ottanta; e anche quando siamo giunti a questo punto, per capire che stiamo parlando delle deportazioni del popolo ebraico, dobbiamo camminare ancora molto e aspettare di arrivare fin ben oltre la metà del libro. Ma allora, verrebbe da chiedere, come colma Martel tutto lo spazio precedente? Con un colpo di genio che dimostra la competenza culturale dell’autore in materia di storia e teoria letteraria e che si esplica attraverso la realizzazione di una metanarrazione.
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Mi scuserete a questo punto se apro una piccola parentesi teorica al riguardo e a beneficio dei meno esperti di teoria della letteratura, ma vi assicuro che, lungi dal voler essere un mero tecnicismo o una pedantesca esposizione di nozionismo, essa è assolutamente fondamentale per poter godere e fruire a pieno di questo straordinario romanzo. Cominciamo dunque con il chiarire il termine metanarrazione. Per dirla in parole semplici, con esso si indicano tutti quei riferimenti, da semplici locuzioni ad ampi stralci testuali, in cui il narratore parla, commenta o si riferisce esplicitamente all’atto della sua scrittura. L’effetto e la metodica non sono molto dissimili dalla mise en abîme che si osserva nell’arte figurativa, quando ad esempio un ritrattista si rappresenta nell’atto stesso del ritrarre il suo soggetto, mediante l'inclusione nella scena di uno specchio, la differenza consiste semmai nello scopo di tale scelta artistica. Mentre nel caso della mise en abîme delle arti figurative generalmente l’unico intento è quello di includere un seppur parziale autoritratto dell’autore nella sua opera, la metanarrazione ha generalmente scopi bene diversi: ovvero offrire allo scrittore uno spazio ben codificato all’interno del suo testo, in cui esprimere la sua concezione della letteratura o in cui riflettere sulle modalità, il carattere e gli scopi dell’atto stesso dello scrivere. E una riflessione sul suo essere scrittore e sulla sua concezione di scrittura è proprio ciò che Martel ci offre nelle suddette prime ottanta pagine di Beatrice e Virgilio Chiarito tale aspetto questa parte del testo non potrà dunque che risultarvi geniale e leggendo le vicende esistenziali e professionali di uno scrittore “intrappolato”, fra un vecchio romanzo di grande successo e nuovo progetto letterario molto amato, ma incompreso dall’editore, vi risulterà subito chiaro che in realtà Martel ci sta raccontando la sua storia, dal successo ottenuto con Vita di Pi alla pubblicazione di Beatrice e Virgilio
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Ma giunti a questo punto, dove si colloca la “trattazione” dell’Olocausto e soprattutto come legare le due parti del testo? Ancora una volta, come già in Vita di Pi, la trasfigurazione del mondo animale ispira e guida lo scrittore, che affida la testimonianza della drammaticità di tale esperienza a Beatrice, un’asina, e Virgilio, una scimmia urlatrice protagonisti di una pièce teatrale, nella cui scrittura l’alter ego d’inchiostro di Martel si trova coinvolto, innescando dunque ancora una volta un gioco di specchi che amplificano la riflessione sull’atto scrittorio.  L’ultima obiezione che a questo punto potreste rivolgermi è perché Martel ricorra sempre al mondo animale per veicolare il suo messaggio. La mia risposta è… leggete il libro per saperlo, il suo autore dedica un piccolo specchietto metanarrativo anche a questo! Beatrice e Virgilio: un romanzo che unisce cuore, mano e testa. PS: volete sapere a cosa mi riferisco con la mia ultima affermazione? Ancora una volta: leggete il libro e fate attenzione agli specchi!
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L'AUTORE
Yann Martel (Salamanca, 25 giugno 1963) è uno scrittore canadese. La sua opera più conosciuta è Vita di Pi, libro che gli è valso il prestigioso Booker Prize per la narrativa nel 2002. Dopo aver studiato filosofia all'università Trent a Peterborough, Ontario all'età di ventisette anni cominciò la sua carriera di scrittore. Ha viaggiato molto in tutto il mondo, trascorrendo del tempo in Iran, Turchia e India. Vivere dentro o visitare molte culture ha influenzato il suo modo di scrivere, fornendo la ricca miscellanea culturale che fa da sfondo alle sue opere. Per scrivere Vita di Pi, Martel trascorse sei mesi in India visitando moschee, templi, chiese e zoo, oltre ad un intero anno passato a leggere testi religiosi. Dopo questa ricerca, la vera e propria stesura del libro richiese altri due anni. Nel settembre 2003 si è trasferito a Saskatoon, Saskatchewandove a lavorato in qualità di scrittore-in-sede della biblioteca pubblica per un anno. Da qui è passato a Montreal, Quebec e ha recentemente collaborato con il compositore canadese Omar Daniel, compositore-in-sede al Royal Conservatory of Music a Toronto, su un pezzo per pianoforte, quartetto d'archi e basso. La composizione, You Are Where You Are, è basata su un testo scritto da Martel, che include parti di conversazioni al cellulare estratte da momenti di un giorno ordinario. Nel novembre 2005, l'università di Saskatchewan annunciò che Martel avrebbe trascorso un anno nel dipartimento di Inglese dell'università come letterato-in-sede. Attualmente vive a Saskatoon con la sua fidanzata, dove ha progettato il suo ultimo libro.


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