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Una casa nel bosco che – botta di culo delle botte di culo – è il covo di due rapinatori in fuga dalla polizia.
Una storia d'amore, forse, meno credibile ancora del giallo che Black Ice, primo e ultimo romanzo della nota Becca Fitzpatrick che leggerò in questa vita, millanta di essere. Ingredienti scadenti, e scossi con insicurezza in una di quelle sfere di cristallo in cui, con un colpo della mano, vedi cadere la neve a fiocchi belli grossi. La trama è macchinosa e inverosimile, i brividi neanche il freddo e il gelo riescono a garantirteli, la svolta thriller – prevedibilissima già a pagina cinquanta, sciolta, tra l'altro, in maniera elementare – fa un baffo ai gialli televisivi che danno sulla Rai. Questo, prima che il romanzo – nell'epilogo – passi dalla neve al caldo della California, diventando con un bacio e una palpatina di bacchetta magica una storiella tutta “sole, cuore, amore”: un raffinato passaggio, quindi, schiacciando un tasto del telecomando: un salto dalla Rai - qualcuno non aveva pagato il canone - a Mediaset. Avete presente quegli imbarazzanti filmetti danesi, tedeschi o quello che sono, in onda su Canale Cinque un po' nelle vacanze estive, un po' in quelle invernali; insomma, in periodi in cui a casa non c'è nessuno per sorbirseli per intero? Ecco. Becca Fitzpatrick, dillo che ti sei ispirata a quelli. La voce narrante, quella di Britt, è monocorde e irritante. Annoia, tanto da spingere il lettore a leggere soltanto i dialoghi, ogni tanto, per evitarsi gli sbadigli che fa nascere il resto. Una ragazzetta dal fare incomprensibile, che ha per migliore amica una tipa snob, ignorante e meschina, che tollera probabilmente solo per la casa in montagna in cui viene ospitata a scrocco durante le feste e per il fratello maggiore, Cal, con cui ha avuto una mezza storia – sfortuna per lei, finita troppo presto. Per farlo ingelosire, ecco che Britt abborda un tipo tenebroso e gnocco dal benzinaio, uno dei suoi futuri rapitori. Uno, ho detto uno: i rapitori infatti sono due, e quella furbacchiona di Britt – a distanza di venti pagine – desidererà limonarseli entrambi, perché è una ragazza generosa, lei, e ha letto che stare avvinghiati tutti nudi aiuta a riscaldarsi meglio, quando ci sono zero gradi sotto zero. Non fa una piega.
Che la sindrome di Stoccolma (ma dove!) sia per la protagonista sinonimo di zoccol... ehm, ninfomania? Mentre fugge, mentre piange, mentre pensa che è fortunata perché poteva capitargli un aguzzino brutto e pure con la panza e l'alitosi, rievoca il suo ex ragazzo che spera, prima o poi, vada a salvarla. Si dice che lo perdonerà, se quella storia andrà a buon fine: Britt, sicuro che basti il tuo perdono? Sicuro che lui ti voglia ancora con sé? Suspance, ebbene sì. Suspance ovunque. Sottoforma di valanghe e cumuli di altissime stronzate. Ma, ehi, c'è anche un colpo di scena; un twist finale, ma non proprio, che indovini già a metà e ti porta a dire, saggiamente: ecco perché non tutti possono scrivere gialli. Meglio tentare con l'agricoltura: ossia, andare a zappare i campi. Scritto senza impegno e pensato senza cervello, Black Ice ha il quoziente intellettivo di Pretty Little Liars e le ambientazioni selvagge di L'urlo dell'odio e Misery. Un piattume evitabile, di cui si ricordano – con una risata grassa – solo i brutti nomi dei protagonisti: Calvin, Shaun, Korbie e, punta di diamante, Caz. La mia frase preferita, in 350 pagine di romanzo è stata: “Non te lo dico, Caz!”. La poesia. Una che si chiama Becca ne sa qualcosa, immagino, di nomi che ti rovinano la vita per sempre. Nel lieto fine, l'amato di Britt – e chi sceglierà mai la nostra eroina? Prossimamente, su Uomini e donne. – affermerà, romantico: “Mi è venuta un'idea geniale. Andiamo a passeggiare sulla spiaggia e parliamo di cose stupide, senza importanza”. Come se non avessero già dato voce a cose stupide e senza importanza nelle trecento pagine precedenti: il colmo. Se volete leggere un thriller dalle sfumature romantiche sul tema, vi consiglio piuttosto Fragili e Preziose. Il romanzo, troppo pudico ed edulcorato per essere allegramente trash, è un Polaretto che si scioglie e lascia una traccia appiccicosa e colorata in mano: vomito d'unicorno. Ma una spruzzata di sapone, e si scorda con facilità estrema. Di Black Ice lascerei scrivere ad Antonio Conte la fascetta promozionale. Da sotto il suo parrucchino sintetico d'opossum, griderebbe il suo mantra eterno e, ogni santa volta, perfettamente adatto: agghiacciande! Il mio voto: ★½ Il mio consiglio musicale: La siglia dei "Polaretti" può andare?
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