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Recensione Come un Tuono

Creato il 22 marzo 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

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Tre storie, un solo film. Dopo il successo mondiale di Blue Valentine, Derek Cianfrance torna dietro la macchina da presa per un film ambizioso e coraggioso. Come un tuono (The Place Beyond the Pines) prosegue in qualche modo il discorso sulla famiglia iniziato con la pellicola precedente. Ma se nel film del 2010 (da noi uscito solo qualche mese fa) Cianfrance raccontava la nascita e la fine di un amore e di un matrimonio, con questa nuova fatica esplora più nello specifico il rapporto padri-figli. E lo fa attraversa una storia “trina” che abbraccia quindici anni: prima focalizzandosi su Luke, motociclista circense che scopre di aver avuto un figlio da una delle sue tante avventure e decide di guadagnarsi i soldi per garantirgli un degno futuro mettendo il suo talento nella guida della motocicletta al servizio di incoscienti rapine in banca, poi spostando del tutto lo sguardo su Avery, giovane e onesto poliziotto che vuole fare carriera nelle istituzioni e che si ritrova a combattere contro le sue colpe e la corruzione di alcuni sui colleghi, ed infine, dopo un lungo salto temporale, raccontando il rapporto tra i figli di questi due, entrambi – anche se in modo diverso – alla ricerca di una figura paterna praticamente assente.

A differenza di Blue Valentine, in cui il giovane cineasta americano optava per mostrarci contemporaneamente sullo schermo, grazie al montaggio alternato, due momenti lontani temporalmente della vita dei protagonisti, in Come un tuono sceglie per un affresco dove le differenti storie si susseguono sullo schermo spezzando la narrazione in tre blocchi distinti. A dare unità e compattezza al film, oltre alla causalità e consequenzialità che lega le tre storie, ci pensano i fili conduttori tematici della paternità, della colpa e dell’eredità di quest’ultima, e ovviamente lo stile sempre coerente di Cianfrance. Uno stile fatto di lunghi piani sequenza, di una macchina a mano sempre attaccata ai volti dei personaggi, di un realismo impressionante e di una rara capacità di covare le emozioni in un’atmosfera malinconica che le lascia sprigionare solo a fine proiezione.

Come un tuono ha il sapore di una grande saga sulla paternità compressa in un’unica pellicola, di una grande tragedia greca in cui tutti i personaggi prima o dopo si incontrano facendo i conti con il proprio passato e con il proprio futuro. In questa sua essenza – che poi rappresenta anche la sua ambizione – sono rintracciabili sia i pregi che i difetti del film. Da una parte infatti si apprezza l’originalità della costruzione del racconto, che gradualmente trova un senso compiuto grazie all’assemblaggio dei suoi diversi tasselli; dall’altra però si avverte anche la pesantezza di un racconto che, cambiando drasticamente punto di vista per due volte e abbracciando così tanti personaggi, appare un po’ strozzato nei pur tanti 140 minuti di durata, mettendo in risalto alcuni passaggi sbrigativi della sceneggiatura.

Rimane in ogni caso il talento di Cianfrance, narratore atipico dei sentimenti e della miseria umana, un regista che non punta mai alla lacrima facile ma rimane costantemente attento alle psicologie dei personaggi, vivisezionandole e non dimenticandosi mai del contesto sociale in cui esse mutano e crescono. E rimangono anche – e soprattutto – le splendide e intense performance degli interpreti. Se Eva Mendes mette da parte la sua bellezza per ritrarre un personaggio disperato e ricco di sfumature, Ryan Gosling e Bradley Cooper si confermano i migliori attori della loro generazione, per personalità, intensità e verità. La poesia di Come un tuono rimane scolpita negli sguardi dei loro personaggi, due facce della stessa medaglia, della stessa desolante realtà.

di Antonio Valerio Spera


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