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Recensione "Comunque vada non importa" di Eleonora C. Caruso

Creato il 21 settembre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Valentina Coluccelli Titolo: Comunque vada non importa Autrice: Eleonora C. Caruso Editore: Indiana Collana: I lucci Prezzo: € 14,50 Pagine: 240 In libreria dal: 19 settembre 2012 Quarta: Darla vive arenata sul divano di casa, incollata al computer, esce solo per andare in fumetteria. Manga e cartoni giapponesi sono il suo universo, veri e propri oggetti salvifici, le uniche coordinate per lei valide. Tra Twitter, social network e battute al vetriolo, a ventidue anni si è asserragliata in un fortino apparentemente inespugnabile, chiudendo fuori un padre con cui non riesce a dialogare, il fratello Andrea che l’ha sempre messa in ombra, un’università che non ha nulla da offrirle. Ma quando Andrea si ammala gravemente, vittima dell’odio per se stesso, Darla è costretta a distogliere gli occhi dal monitor e a guardarsi intorno: scoprirà che il suo mondo non le basta più, e avrà bisogno di amare, di litigare, di fare spazio a chi, fino a quel momento, ha sempre respinto. Col suo linguaggio spigoloso e tagliente e un immaginario in grado di strabiliare il lettore, Eleonora C. Caruso ci regala un clamoroso romanzo d’esordio, scivolando con disinvoltura tra sarcasmo e sentimento senza mai fare sconti a nessuno.
RECENSIONE Comunque vada non importa. Non è quell’espressione che usiamo proprio quando teniamo davvero e tanto a qualcosa, ma fingiamo con noi stessi e con gli altri per rassicurarci, per proteggerci, che non sia così? Ecco, è così che vive Darla, l’io-narrante di questo volume d’esordio di Eleonora Caruso (conosciuta nel mondo delle fanfic con il nick Caska Langley, la cui origine è facilmente identificabile da qualsiasi otaku), che irrompe come una scarica elettrica nelle vene e punta dritto al cuore, per mandarlo in aritmia e poi lasciarlo in tilt per un po’. È così che vive Darla, che si trascina nella vita, convinta di non essere amata e di non essere abbastanza per nulla. È così che vive Darla, che preferisce il rifugio sicuro delle realtà e delle emozioni racchiuse nei manga e negli anime – così perfette da porre un ideale troppo alto nell’amore e nell’amicizia da anche solo cominciare a cercare di raggiungerlo –, nella musica dell’iPod che usa per nascondersi in pubblico, e persino nella sessualità solitaria della pornografia (quella delle doujinshi giapponesi) e della masturbazione. Così vive Darla, fingendo – e forse riuscendo a convincersene – che non le importi nulla degli altri, del futuro, di se stessa; mentre invece le importa così tanto da soffocare nel terrore di scoprire che gli altri, il suo futuro e se stessa non la accetteranno. E allora preferisce non accettarli lei.

Non mi piace parlare, non ne sento la necessità, i discorsi col cuore in mano io non li capisco, non è nella mano che dovrebbe stare un cuore

I primi capitoli di questa sorta di confessione a cuore aperto – checché ne dica Darla – sono di un’ironia pungente e brillante, talvolta venata di rabbia e quasi sempre travestita d’indifferenza. L’infanzia nel paesino di provincia, i giochi col fratello Andrea, la mancanza d’amore nella sua famiglia – descritta con tratti così accusatori e duri da farsi domandare se stia raccontando una triste realtà o se piuttosto non sia lei a non averla compresa e a stravolgerla – sono raccontati con una sicurezza un poco spavalda. Che scompare nei capitoli successivi, quelli dopo la morte della madre, quelli dopo il trasferimento nella grigia e sovraffollata Milano, quelli dopo la rottura col padre, quelli vissuti in un appartamento sporco e trasandato insieme ad Andrea, con cui non sa e non vuole comunicare, ma dal quale non riesce a stare lontana. Qui il suo narrare – come il suo vivere – si fa più lento, più rabbioso, più sulla difensiva. Probabilmente più spaventato

Spesso sono estranea a quel che mi succede, non sono padrona in casa mia. Mi preoccupo delle necessità, come mangiare e dormire, il resto accade dentro la mia mente, un luogo remoto.

Darla smette di vivere nella realtà comune – abbandona l’università, passa le giornate pigramente stesa sul divano e in simbiosi col suo pc, esce di rado e solo per necessità, non risponde più alle uniche due amiche che la cercano – e trasferisce se stessa, quella vera, quella dentro, all’interno dei manga e degli anime, e rivolge tutto il suo impegno nella raccolta e catalogazione delle doujinshi, mostrando i primi inquietanti sintomi di una vera otaku patologica (nota 1). Non è certo un caso che, a parte le numerose citazioni di Bishoujo Senshi Sailor Moon, Naruto, Fullmetal Alchemist, sia il complesso, solipsistico e pessimistico anime Shin Seiki Evangerion – coi suoi personaggi ineluttabilmente soli, col suo crudele “Progetto per il perfezionamento dell’uomo”, con la ferocia e l’indifferenza che caratterizzano molti dei rapporti, e soprattutto quello del protagonista Shinji col padre – ad accentrare l’attenzione di Darla. 

Ho guardato per la prima volta nella spaccatura dentro di me, la differenza tra quella che sono e che sento di essere, una persona piena di storie, all’interno, esperienze, persone che ho conosciuto e luoghi in cui ho vissuto, e poi, all’esterno, solo questo: una ragazza sola, e con centoquattro Bic.

Sono il manifestarsi di una grave malattia di Andrea, da anni celata agli occhi di chi non voleva riconoscerla, e l’intervento del suo compagno Alessandro, che la prende sotto la sua ala, a costringere Darla a muovere i primi passi fuori da se stessa e dal suo mondo sicuro, asettico e perfetto quanto immaginario ed effimero. Non è lei a scegliere di “salvarsi”, di tornare alla vita. È la vita che lo fa per lei; come dice la sua amica Miku, “nessun miracolo, non credere, doveva succedere e io l’ho lasciato succedere” o, ancora meglio, come dice lei stessa, perché “così dev’essere, è quello che siamo programmati a fare, e quindi te lo devi lasciar fare”.
Per scrivere qualcosa di nuovo, sincero e vibrante come questo libro, non è sufficiente aver vissuto tante vite – come sicuramente ha fatto l’autrice attraverso le pile di manga e libri che ha letto –, ma serve la propria esperienza, bisogna riportare qualcosa di sé, qualcosa di autentico. Certo, arricchendolo, modificandolo, giustamente romanzandolo. Eppure, questo libro ha così tanto le fattezze della vita vera, quel suo retrogusto capace di essere dolce e amaro insieme, da non sembrare davvero un romanzo; e, come la vita vera, in cui i capitoli nuovi si intrecciano coi vecchi e a volte coesistono, a volte si avvicendano, a volte scompaiono senza far rumore e a volte non terminano mai, non ha un finale, né aperto né chiuso, né lieto né drammatico: non c’è, tutto rimane in sospeso, nulla si risolve. Solo, Darla vive con incertezza e titubanza l’inizio di un nuovo capitolo, con lo strascico di quello vecchio a insidiarne la solidità, senza saper se riuscirà mai a renderlo pieno e vitale, né dove la porterà.
Un’ottima prova d’esordio, stratificata, consapevole, mai incespicante nel ritmo o nello stile. Talmente intima per certi versi alla mia esperienza, da rendermela al contempo famigliare e avversa. La sua autrice si è conquistata tutta la mia stima di lettrice e recensore e tutta la mia simpatia di ex otaku e rifugiata speciale. 
NOTE: 1. In Italia il termine otaku è stato svuotato dell’originale connotazione patologica e negativa, divenendo un appellativo esotico da affibbiare agli individui appassionati di animazione e fumettistica provenienti dal Sol Levante; ma in Giappone questo termine indica una ben precisa categoria di giovani che, colpiti da una forma di ossessione compulsiva, rivolgono tutto il loro interesse e tutte le loro energie verso un manga, un anime o addirittura un solo personaggio, raccogliendo quanto più materiale possibile, smettendo di uscire di casa, sviluppando una forte fobia nei confronti degli altri e consumandosi lentamente
L'AUTRICE Eleonora C. Caruso è nata nel 1986 e si è annoiata finché non è andato in onda Sailor Moon. Nel 2001 ha cominciato a scrivere in rete fanfiction sui suoi anime preferiti, conquistando in breve tempo migliaia di lettori. Ha fatto l’operaia, la commessa, l’impiegata, la centralinista di call center. Vive nella provincia di Novara e ha un blog dove parla senza soluzione di continuità di ciò che ama.


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