24 febbraio 2014 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •
Il giudizio di Federica De MasiSummary:
E se la prima vera rock star avesse vissuto nel 1800? La musica del grande Niccolò Paganini, tra realtà e leggenda, risuona nel nuovo film Il violinista del diavolo…
Vive di nuovo sul grande schermo – dopo il film del 1989 Kinski Paganini di e con Klaus Kinsi - il genio e la sregolatezza di Niccolò Paganini, considerato il più celebre violinista del XIX secolo. La vita del musicista ligure viene raccontata nel film di Bernard Rose Il violinista del diavolo, tra musica in scena e citazioni dal Faust di Goethe. La storia di Mefistofele, infatti, si adatta benissimo alle vicende cha hanno segnato il mito di Paganini, inserita in modo intelligente e mai invasiva: si diceva che il violinista virtuoso fosse così bravo perché in realtà avesse stretto un patto con il diavolo in persona. Da queste dicerie il film prende il titolo per inscenare l’ambiguo rapporto tra Paganini e il suo valletto Urbani, qui rappresentato come un manager senza scrupoli. Dall’infanzia tormentata al grande successo inglese, il film segue l’intero arco della vita del violinista, soffermandosi in particolare sui vizi, dalla droga al gioco d’azzardo, e sulla storia d’amore con una giovane cantante, Charlotte, che all’epoca fece scandalo sui quotidiani inglesi.
David Garrett interpreta Niccolò Paganini
L’approccio de Il violinista del diavolo è molto realistico, sia a livello visivo che narrativo. Tutto quello che accade nella storia ha fonti documentate, dalla performance finita su una sola corda di violino, allo scandalo sentimentale generato dalla storia d’amore. L’idea di Rose e di Garrett, il famoso violinista tedesco-statunitense, che nel film è interprete principale e compositore della colonna sonora, era quella di rappresentare Paganini come una rock star. Le donne impazzivano per lui e la sua fama di donnaiolo lo precedeva. Una sorta di Jim Morrison ante litteram, incompreso e rimasto nella storia perché alle genialità da compositore affiancava un’aura misteriosa che attirava prepotentemente il pubblico.
Il film fa un po’ fatica a rodare: la sceneggiatura, scritta dallo stesso Bernard Rose – che qui ha curato come in molte delle sue pellicola anche la fotografia – scricchiola quando si tratta di introdurre i due personaggi principali, Paganini e Urbani (accompagnati da un tema musicale a volte troppo ingombrante). Il grande respiro arriva quando PaganiniGarrett mette le mani sul violino, sprigionando tutta quell’energia trattenuta fino a quel momento, attraverso i piacevoli capricci (le 24 composizioni virtuose del violinista ligure) riarrangiati dallo stesso Garrett insieme a Frank Van der Hayden. I momenti musicali sono la carta vincente de Il violinista del diavolo, che raggiunge verità autentica quando le note diventano melodie visive. Una vittoria che passa più dalla bravura di David Garrett musicista, il quale essendo anche lui un violinista affermato, una vera star, meglio noto come il Re del crossover, riesce a mascherare la sua acerbità d’interprete con le doti di suonatore. La regia non aggiunge niente di più a questi momenti, passando quasi in sordina. Bernard Rose si cimenta per la seconda volta con l’adattamento di una storia di un grande compositore: lo aveva già fatto nel 1994 con risultati poco brillanti in Amata immortalità, dove il protagonista era un Ludwig Van Beethoven interpretato da Gary Oldman.
Una scena del film “Il violinista del diavolo”
Quello de Il violinista del diavolo resta un progetto molto interessante, sia dal punto di vista storico, riproponendo il mito di uno dei violinisti più famosi al mondo, per la bravura ma anche per la sua condotta di vita, fatta di eccessi (Paganini fu spesso in prigione, oltre ad essere un noto seduttore, giocatore d’azzardo e vizioso) e leggende, divulgando le innovazioni da lui apportate nella musica classica, sia dal punto di vista musicale dal punto di vista più pedagogico .
Federica De Masi per Oggialcinema.net
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