L’intramontabile charme di due icone sacre del cinema, l’imperturbabile aplomb dell’uno e l’energia esplosiva dell’altra. E poi la complessità dei rapporti umani, la morte, la vecchiaia, il tramonto di una vita in due cadenzata da abitudini quotidiane, piccoli rituali che il potere del tempo ha trasformato in un indispensabile e scaramantico gesto d’amore.
Loro sono Terence Stamp e Vanessa Redgrave, il film che li vede protagonisti assoluti è “Una canzone per Marion” (in sala dal 29 agosto con Lucky Red), storia di riscoperta e separazione insieme, elaborazione di un lutto e rinascita, perdita e riconquista.
Un racconto in parte autobiografico se è vero che il regista, l’inglese Paul Andrew Williams, scrisse la storia pensando al rapporto tra sua nonno e sua nonna: “Mio nonno amava mia nonna. Direi anzi che lei rappresentasse l’unica cosa che avesse avuto un’influenza positiva sulla sua vita. Avrebbe fatto di tutto per lei, e lei per lui. – ha raccontato Williams – Lei accettava tutti i lamenti e l’amarezza del marito perché vedeva l’uomo buono che si nascondeva dietro quella scorza ruvida. Lui si prendeva cura di lei, era lì per lei, la faceva ridere e ogni tanto dimostrava anche un po’ di romanticismo. Quando mia nonna si è ammalata di cancro, lui l’ha curata, le è stato accanto, l’ha sostenuta in tutti i modi possibili. Alla fine quando è morta, mio nonno ha sofferto molto e, per la prima volta nella sua vita, ha pianto a lungo”.
Tanto Arthur (Terence Stamp) è scontroso, ruvido, solitario quanto sua moglie Marion è vitale, dirompente, solare nonostante il cancro che ormai le lascia davvero poco da vivere.
A Marion piace cantare, lo fa in un coro amatoriale per pensionati del suo quartiere, ma ad Arthur l’idea che sua moglie possa rendersi ridicola cantando stupide canzoni non piace. Ad Arthur piace tornare a casa e prendersi cura di lei, accompagnarla ogni giorno alle prove, ed ogni giorno aspettarla fuori dal centro fumando una sigaretta. Quella soglia il burbero settantenne la attraverserà solo dopo la morte di Marion, quando la sua passione per la musica e l’incontro con la giovane direttrice del coro Elizabeth (Gemma Artenton), lo aiuteranno a dar sfogo ai propri sentimenti e recuperare la dolcezza della vita a partire dal rapporto con il figlio James.
Un ‘grey pound’ in piena regola, quello che Hollywood ha riscoperto da poco, che Michael Haneke ha saputo declinare in maniera personalissima in un capolavoro come “Amour” e che qui Williams riesce a trasformare in commedia attraverso l’incursione di siparietti brillanti che stemperano il dramma e strappano sorrisi, pur in una storia assolutamente prevedibile e scontata sin dall’inizio.
Un racconto che mette a nudo il corpo piegato dall’età, spezzato dalla malattia, consumato dalla vita, che esplora tre generazioni e riscopre una opportunità di cambiamento per tutti. Facile la deriva nella retorica e nel falso moralismo, che il film non riesce a tratti ad evitare salvo nel’irrompere di certo humour. L’effetto salvifico arriva proprio dalla scelta del doppio registro di serio e faceto, di quel cortocircuito tra buffo e tragico che contribuisce ad arricchire la narrazione di sfumature. Ma le vere emozioni di “Una canzone per Marion” non potevano non arrivare dalle performance dei due attori protagonisti: senza filtri, credibili, autentici e serenamente arresi al potenziale di una storia che li costringe a scoprirsi in tutta la propria fragilità.
di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net