Molti anni fa – fresco di laurea in fisica, e ancora alla ricerca di un senso da dare alla vita – leggevo tanti libri: divoravo soprattutto fantascienza, ma anche saggi scientifici e, molto più raramente, classici della letteratura. In realtà, credo che fossi spinto da un’esigenza fondamentale: il tentativo di ricucire insieme ogni più piccolo brandello luminoso di Verità, ovunque ci fosse una pur minima speranza di trovarlo. Ecco perché ero tanto attratto dalla fisica moderna e dalla speculazione scientifica, che promettevano (naturalmente senza mantenere, ora lo so) di svelare il Perché ultimo delle cose.
Perché vi racconto questo? Semplicemente per spiegare il fatto che anche oggi, ogni volta che mi capita tra le mani un libro che tratti di scienza (sia in forma speculativa, sia divulgativa) non posso fare a meno di sentire risuonare una quantità di echi delle mie passate letture, e di cercare sempre – quasi automaticamente, con un residuo dell’antica avidità – un frammento di luce. Inutile dire che spesso rimango deluso, come è accaduto innumerevoli volte in passato. In altri casi, invece, posso dire di chiudere il libro con una buona sensazione, quasi di sazietà soddisfatta.
Ho finito da poco di leggere un libro proprio così: “Terra Nova” (Clinamen 2011) di Vittorio Cocchi. Se dovessi incasellarlo in un genere, direi che è quello del romanzo filosofico, con una buona dose di detection story (sul tipo dei racconti del “Club dei Vedovi Neri” di Isaac Asimov, per intendersi). Mi sono molto divertito, soprattutto nel tentativo di sciogliere i tanti misteri della narrazione, che trovano una brillante spiegazione solo alla fine: il che, lasciatemelo dire, è un merito raro in qualsiasi libro. Eppure ritengo che il pregio principale di quest’opera stia altrove. Per spiegarmi meglio occorre che accenni brevemente alla trama.
L’ambientazione è intrigante: un lussuoso albergo, Villa Gaia, situato su un’isola al centro di un lago. Un giorno di primavera giungono alla villa, per motivi diversissimi, sette persone accomunate dalla passione per la conoscenza. Sono Francisco, un cieco dall’ego smisurato; Dilan, uno studente universitario pagato per fare da accompagnatore a Francisco; il fisico David; l’ingegnere Alex e sua moglie Rose; la biologa Olga; infine, la cosmologa Lara. Quasi per caso, i sette cominciano a intessere una rete di dialoghi che toccano gli argomenti-chiave delle scienze: dal determinismo della fisica classica all‘incertezza quantistica di quella moderna, dall’evoluzionismo biologico alla cosmologia, per giungere a sfiorare anche il problema della mente e del libero arbitrio. Il tutto tenendo sullo sfondo un’onnipresente domanda: chi regge lo scettro del mondo materiale? È forse il Caso? O è la Necessità? Oppure la domanda è mal posta, e la risposta andrebbe cercata da un’altra parte? Intanto, mentre i protagonisti sono impegnati a discutere, sull’isola si succedono eventi inquietanti e apparentemente inspiegabili. Sarà Dilan, alla fine, a svelare il mistero ai suoi compagni e al lettore.
Ecco, secondo me il libro di Cocchi meriterebbe di essere letto anche solo per i dialoghi: attraverso di essi vengono infatti esposti con grande chiarezza e semplicità (ma anche con rigore) tutti quegli aspetti della crisi del determinismo/riduzionismo positivista, che tante volte abbiamo affrontato sulle pagine di questo sito. Per fare solo un esempio, la cosmologa Lara riesce a far capire correttamente a noi e a Dilan (che è totalmente digiuno di astrofisica) il cosiddetto problema del “fine tuning” e le sue implicazioni sull’origine della vita, mettendo allo stesso tempo lucidamente in evidenza la debolezza logica dell’ipotesi del multiverso – che, come è noto, viene sempre più spesso invocata come un deus ex machina per produrre comode soluzioni materialiste a quegli stessi problemi. Va detto che Cocchi non cede mai alla tentazione di negare l’importanza della conoscenza scientifica, né si azzarda a proporre improbabili teorie pseudo-scientifiche. Analogamente, non prova a convincere nessuno dell’esistenza di una finalità trascendente, di un Dio creatore e amante; eppure questo concetto, mai esplicitato, percorre come un fiume sotterraneo tutto il testo, affiorando fugacemente di tanto in tanto.
Più importante, però, è secondo me il fatto che l’autore riesce a dimostrare – in maniera semplice e divertente – che anche la scienza dovrebbe ormai considerare apertamente la concreta possibilità che la vita, e l’Uomo in particolare, abbiano un ruolo non meramente accidentale nella storia dell’Universo.
Michele Forastiere
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