“La mia vita si avvita, ancora, dentro al dado della mia sorte che Dio Padre non ha ancora gettato. Si avvita, ancora, alla mia voglia di continuare a vivere, ma non a sopravvivere, non a subirla o subire una vita altrui.”
Ho letto il libro del mio caro amico Luca Lapi.
Luca è diversabile, nato con la spina bifida e l’idrocefalo.
“Memoria” è la sua autobiografia, semplice e diretta, senza autocommiserazioni o piagnistei che, comunque, sarebbero giustificati.
Premetto che Luca ha coraggio da vendere e che ciò di cui parla nel libro non è nemmeno un granello della sofferenza alla quale la sua condizione lo espone.
“Non cammino. La mamma deve tenermi tra le braccia o su un passeggino, ad ogni mia partecipazione alla Messa domenicale, nella Pieve di San Lorenzo.”
Luca accenna solo brevemente alla gogna di sentirsi additato, non compreso, persino deriso dagli altri bambini quando è piccolo, non racconta il disagio che deve subire ogni giorno, le mille sofferenze quotidiane, si concentra sul dolore psichico, sulle barriere fisiche e psicologiche che la sua condizione frappone fra lui e gli altri, fra lui e la sua voglia di comunicare, di condividere, di dare e ricevere amicizia.
Luca soffre la dipendenza dai genitori anziani e la solitudine, sente ogni minuto vissuto dagli altri lontano da lui come un minuto di felicità che gli è stato sottratto per egoismo, per faciloneria, per diffidenza.
“Si ha l’AMICIZIA quando non si ha più paura del coinvolgimento emotivo e si accetta di “andare allo sbaraglio”, di rischiare con amiche e amici di cui, all’inizio, non ci si fida e ci si spaventa, quando si decide di raccontare tutto di se stessi a 360°.”
La carrozzina sulla quale è costretto a spostarsi è la sua gabbia, gli divide la vita a compartimenti stagni.
Lui diventa l’amico della biblioteca, del lavoro, della parrocchia, chiuso e limitato in un ruolo che gli sta stretto, vorrebbe allargarsi, estendere la sua amicizia ad altri momenti, conviviali, goliardici, quotidiani.
Ma nella sua lotta, Luca è sorretto da una fede profonda.
“La mia fede m’induce a pensare a un disegno di Dio Padre di una mia guarigione dalla Spina Bifida e dall’Idrocefalo, benché non Glielo chieda, più, da tanto, esplicitamente nelle mie preghiere”.
Si notino le lettere maiuscole riferite ai due mali che lo affliggono.
Luca, d’abitudine, usa la maiuscola per ciò cui attribuisce alto valore morale, come la Madre o l’Amico.
Anche il Male merita rispetto perché è il tramite attraverso cui Dio lo ha prescelto, e non punito.
Il Signore ha donato a Luca una condizione particolare, che gli permette di vedere il mondo da un’angolazione speciale e con una sensibilità più acuta.
Disabilità e ipersensibilità sono entrambe fonti di sofferenza ma anche strumenti di una maggiore consapevolezza, attenzione, conoscenza.
Sono ricchezze.
“Rendo lode al Signore, con gioia, per il sigillo dello Spirito Santo che (…) non mi ha sigillato nei miei dubbi, nelle mie disperazioni, nei miei egoismi.”
Quest’autobiografia alterna momenti di riflessione poetici a elenchi di date e avvenimenti, apparentemente asettici, in realtà connotati da una forte emotività sotterranea, che solo attraverso l’ossessività può essere arginata e incanalata.
Peculiare di Luca è l’uso della punteggiatura con una cura maniacale della virgola.
Finisco dicendo che il mio amico Luca non è più un ragazzo, ormai.
Non è più il bambino che arrancava sulle stampelle, è un uomo di mezza età ma non si arrende, ha ancora tanto da vivere, da sperimentare, soprattutto da dare.
“Dio Padre sta continuando a scrivere la mia vita ed io voglio continuare (a Lui piacendo) a conoscerla e a viverla.”
Patrizia Poli