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Recensione Film Amore Carne

Creato il 24 giugno 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Recensione di Amore Carne

Più che un film, un viaggio, sia fisico che spirituale, attraverso gli occhi (pieni di cicatrici) di Pippo Delbono, artista eclettico già autore di Guerra, Il Grido, La Paura.
Attraverso le più diverse immagini registrate con il telefonino o una piccola telecamera portatile, Delbono rivela la realtà, quel mosaico di incontri, momenti, noia e straordinarietà che è la vita vista dagli occhi di un artista.
La prima cosa che colpisce guardando Amore Carne è il caos. Ma subito dopo ci si accorge che Delbono dà incredibilmente un ordine a questo caos, anche in modo estemporaneo. Alcune riprese (come quella dell’ospedale) sono fatte di nascosto, al volo, improvvisando. Eppure è sorprendente scoprire un piano di regia che si sviluppa naturalmente sotto i nostri occhi, con inquadrature e movimenti che funzionano alla perfezione raccontandoci una storia che si scopre da sola, mentre la vediamo.

Amore Carne inizia con il recupero di una mia esperienza personale di attraversamento di quella malattia di cui oggi non si parla più tanto, ma sulla quale sopravvivono ancora i pregiudizi e le discriminazioni morali. Penso che il cinema, l’arte deve inevitabilmente parlare di quella spiritualità che sta all’origine delle cose, del senso del vivere, del morire.” Ecco cos’è Amore Carne: un viaggio tra un’esperienza di morte ed un desiderio di vita. Un viaggio che passa attraverso incontri diversi e situazioni diverse ed in cui veniamo accompagnati dal commento dell’autore stesso.
Commento che spesso riprende testi preesistenti, oppure ne crea di nuovi: “Rimbaud parla di questo. Parla di una follia che diventa illuminazione. Un amore che non riesce a staccarsi dalla carne. Non a caso ci sono Rimbaud e Pasolini, due poeti di amore e carne. Poi alla fine ci sono le parole di Eliot che parlano di quel senso profondo del vivere, e che toccano anche l’altro tema del film, la morte.”
Si può pensare che un film del genere non abbia una vera e propria sceneggiatura, ma la tentazione sarebbe, allora, di riprendere qualsiasi cosa. Invece una sceneggiatura c’è, ma probabilmente è più scritta nello stomaco che sulla carta: “Mi piace pensare alla sceneggiatura di un film come ad una rete che cerca di ritrovare nelle apparenti casualità della vita questi fili ‘segreti’”.
Chi chiedesse all’autore o allo spettatore che genere di film ha appena visto probabilmente avrebbe la stessa risposta: non lo so. “Mi piace perdermi attraverso strade che non ho ancora esplorato, muovermi in una zona di incoscienza; anche se nello stesso tempo sono chiare per me le motivazioni che mi fanno raccontare questa storia piuttosto che un’altra. La mia voce non gestisce più il film, il racconto, ma diventa una voce perduta in mezzo alle altre voci.
Il cellulare permette di riprendere seguendo il ritmo degli occhi. E’ un cinema leggero, che ti dà la capacità di danzare.
Dal 27 giugno al cinema.

di Mara Telandro

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