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[Recensione] Ho cercato il tuo nome di Nicholas Sparks

Creato il 05 ottobre 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] Ho cercato il tuo nome di Nicholas SparksTitolo: Ho cercato il tuo nome
Autore: Nicholas Sparks
Editore: Sperling Paperback
Prezzo: 17  €
Pagine: 367
ISBN:9788860618283
Voto: [Recensione] Ho cercato il tuo nome di Nicholas Sparks

Trama:

Logan Thibault, un marine, trova a terra la foto di una donna mentre è in missione in Iraq. Ne cerca a lungo il legittimo proprietario, ma non si fa vivo nessuno; così decide di tenersela. Le parole del suo amico Victor ed alcuni avvenimenti della guerra, lo portano a pensare che l’immagine lo protegga dai pericoli. Proprio per quello, ottenuto il congedo, mangerà chilometri a piedi per guardare in faccia la bionda dello scatto e scoprire cosa gli riserba il destino.
Beth, madre di Ben, dovrà fare i conti con Keith Clayton: il padre del ragazzo, che non si è ancora arreso del tutto all’idea del rifiuto della sua ex moglie. E la storia tra Beth e Tibault -assunto per aiutare Nana con i cani-, reggerà agli urti delle interferenze, omissioni, bugie?!

Recensione:

A quanto pare a Sparks piacciono i cani. Te ne accorgi nel momento in cui leggi due libri a caso dei suoi e trovi due cani (ancora un altro e ci esce l’enciclopedia). Cani tra l’altro più simili a supereroi che ad animali normali: entrambi intelligentissimi, più svegli di alcune persone oserei dire. Lo faccio presente, perché trovo importante sottolineare le costanti di un autore che rintracci da un lavoro all’altro. Magari sono elementi che nella sua vita hanno avuto un significato particolare, chi lo sa… quindi li evidenzio.
Un grande punto a suo favore è l’elemento curiosità: in un modo o nell’altro, ha sempre l’espediente pronto per agganciare il lettore e spingerlo a proseguire, a perdersi nei meandri delle pagine. Le storie sono sempre con i piedi per terra, comuni, ma contengono quel piccolo elemento che ti rendi perfettamente conto essere assurdo: nella realtà non capita che trovi una foto, ti salva dai bombardamenti e vai a cercare la tizia. Però funziona; c’è quell’esasperazione del romanticismo che ti lascia sognare tempi lontani, pur restando nel presente. L’unico problema di questi stratagemmi è che a volte sembra li ricicli un po’; in “Le parole che non ti ho detto”, ad esempio, c’è una strappalacrime lettera d’amore, che induce una giornalista particolarmente curiosa a correre alla ricerca di colui che l’ha scritta. Ma chissene. Probabilmente è per questo che molti hanno seguito sia un romanzo che l’altro; è inutile a dirlo, ma la caccia al tesoro funziona sempre. Soprattutto se  farcita di segreti che un personaggio ci mette l’intera narrazione a confessare. Potrete trovarlo scontato, ma intanto tiene la gente incollata alle pagine. Anche i titoli funzionano pressappoco allo stesso modo: sono microscopici sunti striminziti della trama…ridotta proprio all’osso.
Tutto questo non lo trovo disastroso; mi fa solo pensare che codesti romanzi contengano poca spontaneità: come se venissero concepiti come prodotto di consumo, invece che stracci d’anima tirati via con fatica. L’idea più negativa, non è tanto la paura che non funzioni; perché va alla grande. Il punto è che sanno di libri così studiati a tavolino, che Sparks non sembra perdere pezzi di sé lungo la strada. Scrive, ma ti chiedi se ci sta dentro o è distante. Non ti viene da dire: “oh, quanto dolore lo ha portato a questo capolavoro…”; te lo immagini sempre con un portatile in riva al lago, che valuta frasi nella calma più assoluta,  sorseggiando un succo d’ananas.
E comunque, per quanto vende, le traduzioni potrebbero essere un po’ più curate. Ci sono un sacco di sviste, di vario tipo. L’autore mette le mani avanti nella prefazione, giustificando gli altri col fatto che è sempre in ritardo con le consegne e non dà il tempo allo staff per intervenire sui testi come si deve… però è qualcosa che rovina un po’ l’insieme.
La storia (era anche ora) è toccante, bella e  affronta temi importanti: dinamiche famigliari e morte soprattutto. lo stile è sempre di classe, preciso e posato. Non sbafa mai in eccessi. Il sarcasmo è delicato, eppure lo si percepisce più che bene. La parte migliore di sé, Sparks la tira fuori quando ci sono di mezzo giochi di possessione; lì è proprio capace di gelarti il sangue con una frase, davvero pensi “questo personaggio è deviato proprio”.

Intrecciò le mani dietro la nuca e si adagiò sui cuscini proprio mentre Nikki usciva dal bagno avvolta in una salvietta, una scia di vapore dietro di sé. Clayton sorrise.
<<Vieni qui, Beth.>>
Lei si bloccò. <<Mi chiamo Nikki.>>
<<Lo so, però stasera voglio chiamarti Beth.>>
<<Ma che cosa stai dicendo?>>
I suoi occhi lampeggiarono. <<Chiudi la bocca e vieni qui, hai capito?>>
Dopo un attimo d’esitazione, Nikki obbedì.

Per una buona parte della narrazione l’alternanza tra vita corrente e la passata in Iraq si alternano, movimentando le parti che potrebbero risultare troppo tranquille. Le frasi in generale sono sempre brevi, ma per rendere bene l’idea degli scontri, vanno a tranciarsi ulteriormente, diventando sempre più scarne. Essenziali.
Toccante è stata l’esplorazione del rapporto padre – figlio: estenuante, forzato, frustrante. Strugge il più gelido dei cuori vedere un bambino che cerca di piacere al genitore, di farlo contento e invece lui è stanco e non si sforza di capire. Non gli importa di accettarlo così com’è.

No, il problema era l’infantile e incessante senso di delusione che Keith provava nei suoi confronti. Keith avrebbe voluto farne un atleta; invece a Ben piaceva suonare il violino. Avrebbe voluto qualcuno con cui andare a caccia; Ben preferiva leggere. Avrebbe voluto che il figlio diventasse un bravo giocatore di baseball o di pallacanestro; invece si era ritrovato con un bambino goffo e miope.
(…) Il suo atteggiamento faceva imbestialire Beth e al tempo stesso la rattristava, e per Ben era anche peggio. Per anni aveva cercato di accontentare il padre, ma tutti i suoi sforzi erano stati inutili.

Ammirevoli sono chiarezza e precisione nel tratteggiare le personalità (nonostante venga utilizzato il narratore esterno, il punto di vista è versatile; tanto che a seconda del capitolo, racconta  le vicende con gli occhi del personaggio corrente) e il modo netto, agghiacciante nel presentare le allucinazioni.

<<Per quanto sia dura, non è niente rispetto a quando mi capita di vederli durante il giorno… i compagni morti, intendo. Magari sono al supermercato, e li vedo lì in piedi a bloccare un corridoio. Oppure sono a terra sanguinanti, con i paramedici che tentano di soccorrerli. Ma non emettono mai neppure un suono. Si limitano a guardarmi, come se fosse colpa mia se sono stati feriti, oppure se devono morire.

Delle persone che ci vengono presentate, è necessario spendere due parole per una in particolare. Ricapitolando: Ci sono madre, figlio, un padre poco sensibile dalla maniera errata di proteggere gli affetti, un misterioso marine con un cane… e poi c’è lei, semplicemente magnifica. Nana, nonna di Beth, è una donna pratica che nonostante tutto sa anche essere introspettiva e leggere gli animi altrui, capace di conquistare anche il più glaciale dei lettori per simpatia suscitata e saggezza; lascia spesso gli altri spiazzati per il modo criptico (e spassoso) di esprimere i concetti tramite strambe associazioni. Acuta e intelligente, senza ombra di dubbio.
Di “Ho cercato il tuo nome” avevo visto anche il film e devo ammettere che resta piuttosto fedele al libro, contrariamente a quanto di solito succede. L’unica distanza la crea la profondità delle emozioni, in cui il cartaceo,  inevitabilmente vince.
Un bel lavoro; non un capolavoro, ma di buon livello. Peccato per il mancato coinvolgimento dell’autore.
Grande elemento a suo favore: il tatto con cui il cerchio a fine narrazione si chiude, portando ciascuno a un tipo personale di redenzione.


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