Recensione "I Baci mai Dati" di Roberta Torre
Creato il 15 luglio 2011 da Alessandraz
@RedazioneDiario
Cari lettori,
se desiderate avvicinarvi ad una lettura intimistica, non facile, “felliniana” direi, dovete per forza procurarvi il libro di Roberta Torre oggetto di questa recensione. Una sorta di diario onirico, una scrittura joyciana, tra grottesco e drammatico…
Titolo: I baci mai dati
Autrice: Roberta Torre
Editore: La Tartaruga edizioni
Pagine: 92
Prezzo: 16,50 €
Trama:
“Piazze enormi attraversate da piccoli ponticelli, un luogo assurdo, metafisico, dove vivono persone che hanno problemi tutt'altro che metafisici", ecco quel che resta del progetto dell'architetto Kenzo Tange per Librino, estrema periferia di Catania. Nella piazza, alla statua della Madonna è sparita la testa. Manuela, una ragazzina appena adolescente, la fa ritrovare. Si grida al miracolo, in realtà è solo una grande bugia. Da tutto il paese, pieno di una umanità di bisognosi, piove una sfilza di richieste da esaudire a cui Manuela non sa davvero dare una risposta, una serie infinita di malattie da guarire che neppure credeva esistessero, una marea di disperazione che lei, dall'alto dei suoi tredici anni, osserva da lontano; molto spesso, per la verità, durante tutto quel parlare, quel lamentarsi, quel profondersi in ringraziamenti e preghiere, a lei capita di pensare solo a Giuseppe, il ragazzo che le piace. Rita, la madre opportunista, fa gli onori di casa, introduce e smista, attenta segretaria, assistente e aiuto di una figlia che in pochi giorni è diventata quasi una santa. E in casa arriva il benessere. Ma Manuela non dorme più la notte. Resta nella stanza piena di suppliche, di parole che le rimbombano nelle orecchie, piena di tutte quelle facce contrite, di tutte quelle lacrime che di giorno in giorno vede versare. Stanca di essere obbligata a un ruolo che non le appartiene, Manuela rivelerà la verità alla madre e le due si ritroveranno... Ma se la finzione diventasse realtà?
RECENSIONE
Un collage di idee racchiuso in libriccino che sulla copertina, rosa come “il femminile”, riporta un collage dell’autrice. La protagonista, Manuela, adolescente, parla come secondo il “flusso della coscienza”; è un diario personale il suo, ma distante da quelli che molte adolescenti sono solite tenere. Questo sfora nell’ambiente circostante, superstizioso, opprimente da un lato e pieno di colori, come quelli del negozio di parrucchiera di Viola, trasposizione catanese di un personaggio veramente felliniano.
La sorella “scafata” più grande, che il padre dice sembrare cugina di Paris Hilton, la madre, Minuccia, che vive nella frustrazione di ciò che sarebbe potuta diventare – anche se ne dubitiamo, dato lo spessore del soggetto – che tra una lite (e qualche “legnata” purtroppo) con il padre Gian (Giovanni) e l’altra si agghinda come una Spice Girl, lustrini e ricci compresi. Il padre, dal canto suo, sembra il matto del villaggio: pare sia impazzito per la gelosia nei confronti della moglie, ma ci viene anche il sospetto che anche lui sia frustrato non da una potenziale carriera di artista (come per Minuccia) quanto per un ambiente che, oggettivamente, andrebbe stretto a chiunque.
La ragazza cieca che definitivamente molesta Manuela, con il tocco ben poco pranoterapeutico che le impartisce ad ogni incontro, altro elemento di disturbo in questo mondo tutto suo che la ragazza si è creata, fino a diventare vittima del suo stesso, quasi auto-ipnotico stato di alterazione. Si sparge la voce che Manuela parli con la Madonna, ma capiamo fin dal principio che ci sia poco di spirituale e metafisico in questa manifestazione: perché solo noi che leggiamo il suo pensiero (seppure intricato) e quello che le succede intorno sappiamo che probabilmente non ha altri con cui comunicare, Manuela.
Già è difficile crescere, per di più in un piccolo centro con tutte le piccolezze che ne derivano e figuriamoci con cotanta famiglia disturbata. Roberta Torre, come già successo per altre sue opere è una pittrice di parole, mette in scena i labirinti intricati costruiti dalla mente umana, scenari grotteschi esasperati da una realtà che spesso lo è ancora di più. Parla attraverso la voce di Manuela in questo romanzo piccolo ma densissimo, e non ci si stupisce che il film che porta lo stesso nome abbia partecipato a tante manifestazioni cinematografiche prestigiose: il testo è già un film di per se stesso, ne vediamo i colori, le ombre, la violenza e la tenerezza, gli opposti vanno in scena, insomma.
Il registro linguistico stesso del libro rifugge la caratterizzazione geografica: potrebbe essere una storia ispirata da Calvino, popolata da personaggi, ripeto ancora una volta, felliniani. Uno scenario di speranza, non di degrado, comunque, dice l’autrice, perché la speranza che ci sia qualche posto dove un miracolo possa avvenire è una necessità comune.
L’AUTRICE
Roberta Torre, regista, sceneggiatrice, fotografa, frequenta la Scuola Civica di Cinema e la Scuola D’Arte Drammatica Paolo Grassi. Si diploma in recitazione e drammaturgia. I suoi cortometraggi vincono subito premi in numerosi festival di cinema nazionali ed internazionali, ma il suo punto d’arrivo è nel 1997 in Tano da morire, suo primo lungometraggio che, oltre a riscuotere un grande successo di critica e pubblico, ottiene numerosi riconoscimenti tra cui tre David di Donatello. Hano fatto seguito Sud Side Story, Angela, Mare Nero, I baci mai dati, presentato alla 67° edizione della Mostra del Cinema di Venezia e in concorso, come unico film italiano, nella sessione World Cinema del Sundance Film Festival 2011, è anche candidato a due Nastri d’argento di cui uno proprio per il soggetto
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