Cari lettori,
oggi vi parleremo di un testo, I ponti di Bergen, scritto da un autore svedese di origine francese, Jan Guillou. Un romanzo carico di suggestioni, con una storia familiare che nel contempo è la narrazione della vita di tre fratelli assai diversi tra loro. Autore: Jan Guillou Titolo: I ponti di Bergen Titolo originale: Brobyggarna Traduzione di Umberto Ghidoni Editore: CorbaccioPagine: 397
Prezzo: € 16,40
Data pubblicazione: 28 febbraio 2013
Trama: Quando il padre annega nel Mare del Nord, Lauritz, Oscar e Sverre sono costretti a lasciare il loro piccolo villaggio norvegese ancora bambini per trasferirsi in città. I tre fratelli vengono presi a bottega da un cordaio, ma il loro talento innato e una serie di fortunate coincidenze li porteranno a studiare a Dresda, beneficiando della solidarietà di un'istituzione che li manterrà agli studi e che farà di loro affermati ingegneri civili di ferrovie e ponti. Si laureano nel 1901 e, per saldare il loro debito di riconoscenza, si impegnano a tornare in Norvegia per partecipare alla costruzione della ferrovia Bergen-Oslo, un'impresa epica che testimonia l'ingresso nel secolo del progresso tecnologico. Nel frattempo Lauritz si innamora di Ingeborg, un'aristocratica tedesca ed è intenzionato a sposarla nonostante l'opposizione del padre di lei, il barone von Freital; Oscar, tradito e truffato da una donna, abbandona Dresda e Sverre, invece, lascia i fratelli per inseguire il grande amore della sua vita, sfidando la rigida morale dell'epoca. Il destino non sembra concedere ai tre fratelli di realizzare i loro sogni e le loro ambizioni, professionali e sentimentali: la guerra sta infatti per abbattersi su di loro e su tutta Europa, una tragedia che cambierà per sempre la vita di Lauritz, Oscar e Sverre e del mondo intero.
RECENSIONE La vita non è iniziata bene per Lauritz, Oskar e Sverre. Rimasti orfani in un villaggio norvegese dimenticato da Dio e dagli uomini, i tre fratellini vengono mandati a Bergen dove vive uno zio con la sua famiglia e mandati a lavorare in una fabbrica di cordami. Dopo poco tempo, i tre però vengono licenziati con l’accusa di aver rubato del materiale. Lo zio li riaccompagna al villaggio natio, ma nello stesso momento, il destino si mette in movimento e regala ai tre l’opportunità di dimostrare il loro talento naturale. Perché i tre Lauritzen sono straordinariamente dotati in tutto ciò che ha a che fare con calcoli e tecnologia: non avevano rubato del legno, ma sottratto i materiali di scarto per realizzare un perfetto modello in scala di nave vichinga, senza attrezzi né strumenti tecnici. Un’associazione benefica si fa carico della loro istruzione e i tre riescono così a studiare e a laurearsi a Dresda in ingegneria, dove ottengono risultati di eccellenza in ogni campo.
Tuttavia, anche tra fratelli così legati ci sono segreti. Due di loro decidono di non tornare in patria. Solo Lauritz, il più responsabile dei tre, torna a Bergen e inizia a progettare ciò per cui è stato formato: la costruzione della linea ferroviaria che porterà il treno a Bergen. Peccato che la zona sia tra le più infide e difficili. Pareti di roccia scoscesa, ampissimi dislivelli, la neve e il freddo che rendono i lavori impossibili o quasi. Molto più a sud, Oskar dopo una cocente delusione d’amore, si occupa della costruzioni di ponti e ferrovie nella savana; infine Sverre è lontano, in Gran Bretagna, dove ha scelto di vivere insieme all’uomo di cui si è innamorato, gettando un’ombra nel cuore dei propri familiari. Dal canto suo, anche Lauritz ha una pena d’amore. Ingerborg, la bella figlia di un ricco nobiluomo tedesco. I due sono innamorati ma la differenza sociale è immensa e l’uomo sa che l’unico modo per ottenere la sua mano è raggiungere fama e sicurezza sociale tale da nascondere le proprie umili origini.
La scelta dell’Autore è sicuramente molto interessante. Oskar e Lauritz rappresentano i due poli della narrazione: il romanzo alterna capitoli in cui l’uno e l’altro vivono e sperimentano in contesti estremi quali sono appunto le nevi norvegesi e la savana africana, e insieme cercano di trovare il loro percorso umano che li renderà adulti nel senso pieno del termine. Entrambi si trovano a essere a capo di una spedizione, senza esperienza e in condizioni ambientali avverse, ed entrambi, sia pure in maniera diversa, riescono a trovare il modo di sopravvivere e uscire più forti e maturi da queste esperienze.
I numeri per un romanzo maestoso e pieno di sfaccettature ci sono tutti, eppure la storia funziona solo a tratti. Difficile individuare la causa. Nel romanzo vi è una netta prevalenza del narrato sui dialoghi, e talvolta questo finisce per appesantire il testo. Si tratta di una scrittura uniforme e molto sobria: Guillou ha un fraseggio ampio, strutturato, e questo comporta una lentezza della prosa che spesso finisce per stancare il lettore. Altro aspetto che non ha convinto del tutto è la scarna descrizione dei luoghi. La contestualizzazione avrebbe potuto dare quel quid epico che invece manca e che avrebbe reso il romanzo particolare e ricco di interesse. Salvo poche descrizioni del percorso di Lauritz tra fiordi e ghiacciai norvegesi, ci troviamo dinanzi a descrizioni generiche che spesso non lasciano alcuna emozione.
Ciò che l’autore ha curato maggiormente riguarda i personaggi e le loro dinamiche all’interno dei gruppi di lavoro in cui sono inseriti. Mentre Lauritz deve guadagnare stima e fiducia di lavoranti e collaboratori, e confrontarsi con l’avvento delle idee politiche socialiste, invece Oskar affronta i pericoli della savana e di un mondo primordiale, in cui le regole comportamentali e sociali dell’Occidente lasciano il posto a riti tribali e iniziazioni dal sapore antico, un po’ come accade per l’uccisione del leone. Forse il percorso di Oskar è proprio quello degno di nota: occidentale, figlio di una mentalità colonizzatrice, scopre a proprie spese che la colonizzazione non è certamente apportatrice di quei vantaggi che i tedeschi vantano.
Questo è un libro adatto non solo a un pubblico femminile, ma anche agli uomini che desiderino uno storico privo di orpelli. Numerose son le valutazioni tecniche che l’autore ha inserito all’interno del tessuto narrativo, per esempio sulle tecniche di costruzione o sui materiali usati, e questo contribuisce a dare maggiore veridicità alla vicenda. Si tratta senza dubbio di un romanzo interessante e con buone premesse ma privo di quei guizzi, quegli spunti che rendono la lettura un’esperienza forte. I climax spesso sono incolori e solo l’approfondimento psicologico dei personaggi lo rende interessante e invoglia il lettore ad arrivare al finale. Quest’ultimo è aperto e rappresenta il vero guizzo di vitalità della storia. Il lettore resta in attesa del seguito, La moglie straniera, che chiarirà le sorti dei protagonisti e vedrà, forse, il rinsaldarsi del legame tra i tre fratelli.L'AUTORE Svedese di origini francesi, Jan Guillou è uno degli autori più letti e seguiti in patria. Giornalista affermato, è stato arrestato nel 1973 con l’accusa di spionaggio, dopo aver scritto un articolo sui servizi segreti svedesi. Da quell’episodio piuttosto avventuroso, ebbe l’idea di scrivere romanzi. Nel 1998 Guillou ha scritto Il templare , primo suo volume tradotto in italiano e primo libro della Trilogia delle Crociate, una serie da 260.000 copie vendute in Italia. Con I ponti di Bergen Guillou cambia luogo e spazio rispetto agli intrighi della Terrasanta del Dodicesimo secolo, scrivendo una saga familiare in cui passioni, amori e storie di tre fratelli si intrecciano sullo sfondo del movimentato Ventesimo Secolo.