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Recensione "I sospiri degli angeli" di Jennifer Haigh

Creato il 10 dicembre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Simona Postiglione «Quasi tutti avete ormai sentito di quanto è successo a mio fratello, o perlomeno una versione dell’accaduto: gli inquietanti avvenimenti di quella primavera e quell’estate, l’unica, vile accusa, ancora non dimostrata, che ha distrutto la sua vita.»
Cari lettori,
Jennifer Haigh, scrittrice originaria di Boston, già autrice di Mrs. Kimble — vincitore del PEN/Hemingway Award per il romanzo d’esordio — e di La condizione, pubblicato in sedici paesi, ci parla di Faith — fede, titolo originale —, un tema complesso e delicato, profondamente intimo. I sospiri degli angeli è il titolo italiano con cui Tropea Editore ha pubblicato il romanzo; un titolo affascinante che però trovo poco adatto all’opera. Di fronte all’ennesimo caso di pedofilia, legato allo scandalo di abusi sessuali da parte dei preti cattolici, ho idea che gli angeli avrebbero versato calde lacrime, scatenando le ire del Cielo, piuttosto che limitarsi a sospirare! O, forse, lo scopo era proprio quello di evidenziare come niente e nessuno sia in grado di contrastare il Male che l’uomo è impegnato a farsi da secoli.
Titolo: I sospiri degli angeli
Autore: Jennifer Haigh
Traduzione: Maria Barbara Piccioli
Editore: Marco Tropea Editore
Collana: I narratori
Pagine: 304
Prezzo: 17,50 Euro
Trama: Da tempo ormai Sheila McGann è una donna indipendente, che vive lontana da Boston e dalla sua famiglia di origine irlandese, troppo devota e ingombrante. Tuttavia è rimasta legata al fratellastro Art, beneamato parroco di una chiesa della periferia. Quando il clero della città è travolto dallo scandalo della pedofilia, e Art è accusato dello stesso, infamante crimine, Sheila ritorna a casa, pronta a combattere per lui e per la sua reputazione. Ma la realtà cui si troverà di fronte è molto più complicata del previsto, ambigua come il cuore degli uomini. La madre di Sheila non può fornirle nessun aiuto, sopraffatta dalla rabbia per quella che ritiene una vera e propria persecuzione ai danni del figlio; il padre, sofferente di Alzheimer, non si rende più conto di ciò che succede intorno a lui; il fratello Mike, totalmente assorbito dalle esigenze di sua moglie e dei suoi bambini, ha già emesso il suo verdetto di colpevolezza. E Art, il timido Art, appare sempre più sfuggente e rifiuta di difendersi.
RECENSIONE
È una battaglia che non vincerai maiE ora chini la testa preda della vergognaPer un peccato che nessuno perdona(Dropkick Murphys, This is your Life)
E Art, parroco della parrocchia del Sacro Cuore a Boston, china il capo, preda della vergogna per un’accusa che ha distrutto la sua vita, segnando irrimediabilmente quella della sua famiglia. Una storia che oggi non ha più dell’ inconsueto e che nel 2002, anno in cui l’autrice ha collocato il suo racconto, riempiva già le pagine dei quotidiani con un lungo elenco di casi scandalosi e sconvolgenti, soprattutto perché a commettere abusi sessuali su minori erano preti cattolici. Uomini vestiti di un’aurea speciale, agli occhi di molti quasi divina e, proprio per questo, insospettabili. Uomini che, però, non erano nati preti. 

L’autrice racconta chi era Art prima di divenire Padre Art — un ragazzo basso e minuto che arrivò tardi alla pubertà, che non amava sfidare gli altri e che «cantava un canto inconscio e irreprimibile, espressione innata della sua esuberanza» —, e descrive minuziosamente la sua famiglia d’origine, le personalità che la compongono e che hanno condizionato le scelte definitive di chi era ancora un ragazzo.
«Aiuta, disse, essere un bambino, con scarsa comprensione di quello a cui sta rinunciando. Innamorarsi, sposarsi, mettere su casa e famiglia: collegate questi punti, e avrete approssimativamente la vita della maggioranza delle persone. Toglieteli, e perderete ogni speranza di stabilire un legame con gli altri. Rinunciate al vostro posto del mondo.»
Che cosa spinge un ragazzo a scegliere di essere un prete? La risposta standard della Chiesa, i preti sono chiamati da Dio, sembra non valere per Art che sceglie il seminario perché lì si sente a casa, non avendo mai provato prima la sensazione appagante di appartenere veramente a un luogo, o a delle persone. Aiutato da un’indole calma e gentile, affronta con entusiasmo i lunghi anni di studio, mostrando poi disinvoltura sul pulpito, con uno stile venato d’umorismo, sempre attento, persuasivo e coinvolgente. Un’infanzia difficile quella di Art, la scelta inconsapevole di fuggire per colmare un vuoto, l’entusiasmo per avere finalmente trovato il suo posto nel mondo e i rimpianti per tutte le vite che non ha vissuto. Un uomo con i suoi dolori e le angosce, turbato dalla consapevolezza di avere rinunciato a un amore diverso, più umano che avrebbe potuto farlo sentire finalmente libero.

Proprio quella consapevolezza lo spinge a prendersi cura di Aiden e Kathleen, la sua giovane madre, più di quanto avrebbe dovuto; tanto da innamorarsi come un uomo qualunque e sperare in cuor suo di realizzare quell’amore, magari in una famiglia sua. «Art era cresciuto nel sacerdozio, e se ne era stancato. Intorno ai cinquanta, aveva cominciato a invecchiare.» Art smarrisce la strada e soffre. È un uomo combattuto, com’è naturale quando si è creduto fino in fondo alle proprie scelte e alle promesse fatte a se stessi e — per il ruolo che occupa — agli altri.  

Poi l’accusa di aver toccato Aidan, mossa dalla madre del bambino, e il dubbio che lo trascina a fondo: la reputazione distrutta, la carriera bruciata, l’esistenza rovinata. L’esilio, lontano dalla sua parrocchia — la Chiesa non si preoccupa di indagare, difendere o condannare, semplicemente lo allontana, in attesa che passi la bufera —, lontano dalla sua famiglia — la madre, il fratello, la sorella, vorrebbero credere alla sua innocenza, ma non riescono neanche ad escludere la sua colpevolezza. Il dubbio scorre tra le pagine, ricordando in parte l’omonimo film di John Patrick Shanley del 2008 — Il dubbio —, con la differenza che mentre Padre Flynn finirà per essere spostato in una chiesa ancora più importante, Padre Art perderà tutto.
L’autrice si domanda tramite la sorella di Art — voce narrante del romanzo — se la colpa non sia dell’istituto del celibato, che porta alla rinuncia dell’intimità e degli istinti più profondi. Si domanda: «La Chiesa può andare avanti in questo modo?». La risposta di un dotto esponente della categoria è che la Chiesa può sempre andare avanti.


Resta il dolore nel cuore della voce narrante, accresciuto dalla consapevolezza di quello che Art aveva perso: la possibilità di riempire il vuoto della sua solitudine con l’amore, quello che lega un uomo e una donna. Una solitudine al servizio di qualcosa di più grande, destinata a portarlo vicino a Dio, e che tuttavia non è stata sufficiente. Dolore per quanto poco conoscevano tutti della vita interiore di Art, «e sapere poco è peggio di non sapere nulla».
L’intreccio tra uno scandalo pubblico e il dramma personale di Art e della sua famiglia ha finito per coinvolgermi, nonostante la lettura sia stata a tratti — soprattutto all’inizio del romanzo — poco scorrevole. La traduzione, in particolare, non mi ha convinto, con l’uso di termini che hanno un po’ appesantito le scene. Due o tre imprecisioni di stampa mi hanno indispettito, non le tollero. Tuttavia l’autrice ha affrontato un argomento molto difficile e complesso con delicatezza, senza dare giudizi, raccontando semplicemente i fatti e intuendo gli stati d’animo con rispettosa comprensione.
L’AUTRICE
Jennifer Haigh è l’autrice di Mrs. Kimble, romanzo vincitore del PEN/Hemingway Award per il romanzo d’esordio. Il successivo, Le torri di Bakerton, è stato besteller del New York Times e ha vinto il PEN/L.L. Winship Award. La condizione (Mondadori) è stato pubblicato in 16 paesi.


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