Titolo: Il codice della follia
Autori: Edi & Camillo Carlo Minguzzi
Editore: Giorgio Capelli editore
ISBN: 9788897308126
Num. Pagine: 288
Prezzo: 16,50€
Voto:
Trama:
Achille, Altea, Hermes, Pan, Teseo… Cos’hanno a che fare questi miti con una serie di efferati delitti?
Svizzera, lago di Lucerna. La quiete di una tranquilla cittadina viene sconvolta da un serial killer, che uccide, seziona e getta nel lago le sue vittime, dopo averle chiuse in sacchi di plastica con alcuni steli di rosa.
La polizia sospetta degli ospiti del cottage “Le farfalle”, una lussuosa casa di cura per pazienti affetti da disturbi mentali, diretta dallo psichiatra Herbert Kampitsch.
Sulle tracce dell’assassino si muovono anche Jorg Kampitsch, ricco e libertino, cugino del medico, la bella Karin ed Erik, un sagace studente di filologia classica.
E quando tutti, ormai, pensano di essere giunti a un punto morto, il ritrovamento di un codice segreto dirigerà le indagini, correndo lungo il labile confine tra sanità e follia, fino alla scoperta di un’orrenda verità.
Un thriller raffinato, intelligente e originale, ricco di contrasti e carico di suspense, in cui la psicanalisi e la mitologia greca diventano la chiave per risolvere l’enigma e lo strumento per incollare alla pagina anche l’appassionato di thriller più esigente. Perché sotto i velami dell’attualità e dei vezzi delle mode odierne, emerge, prepotente e inesorabile, la forza ineludibile dei grandi archetipi.
Recensione:
Magnifica storia, terribile caratterizzazione.
Parto subito col dire che le potenzialità ci sono eccome. Il codice della follia è un thriller ben congeniato, un giallo dalla trama senza falle, scritto in maniera impeccabile, con risvolti interessanti che si permettono digressioni sulla psicologia e sulla cura delle psicopatologie ma senza entrare nel buonismo o nel partitismo, si limita a rimanere entro i confini del romanzo creando tra l’altro un bellissimo ambiente in cui i personaggi si muovono e vivono.
Punto più forte in assoluto dell’opera penso sia la traccia che fonde la mitologia alla psicoanalisi. Io non sono un’esperta di psiche e di cure di malattie mentali, men che meno del metodo junghiano, ma da completa estranea all’argomento mi sono molto interessata e divertita nel leggere le analisi di Jorg ed Erik, il loro discutere di archetipi, di dèi e di miti e cercare di scovare l’episodio giusto da rapportare alle patologie dei pazienti. Un passaggio narrativo descritto in maniera ammirevole, completo, per nulla pretenzioso o tirato per i capelli, che premia e conferma l’eccellente preparazione degli autori (i quali sono rispettivamente una docente di greco e linguistica, e uno studioso d’arte e archeologia) e la loro padronanza di un argomento non complesso ma su cui c’è da riflettere se si vuole comprendere a fondo.
Ecco, dopo aver lodato ciò che di positivo c’è nel romanzo, mi sento in dovere di passare alle note dolenti.
La story-line principale – le vicende che concernono strettamente la sfera thriller – è pressoché perfetta; ma le rifiniture sono tremende.
I personaggi. I malati sono tratteggiati stupendamente (perché dovevano rispettare il leit motiv della trama e quindi hanno una strada tracciata e coerente), ma gli altri mi hanno fatto storcere il naso, chi più chi meno.
Jorg è il classico uomo di mondo, ricco, libertino, fascinoso, playboy, dissacratore, impaccato di soldi, che si occupa dell’azienda di famiglia solo per hobby perché tanto non ha bisogno di guadagnare. Puzza di cliché lontano un chilometro. A sua difesa dico che riesce a rendersi simpatico e non diventa mai odioso, quindi si soprassiede volentieri alle circostanze che son fatte con lo stampino.
Karin m’ha dato un po’ da fare, e devo ammettere che l’ho vista come la classica fanciulla da corteggiare perché altrimenti se il protagonista maschile non conquista nessuno sembra uno sfigato. Karin è l’ex del cugino di Jorg – Herbert – e a detta di entrambi, la loro era una storia passionale e traboccante d’amore vero e puro. Ma allora perché due giorni dopo la morte di Herbert, la dolce Karin si infatua disperatamente di Jorg, con risultati assolutamente scontati che si intuiscono già dal primo quinto del libro? Lo dissi già in un’altra recensione, sempre di un poliziesco, e lo ripeto adesso: per favore, se la storia d’ammmmore è evitabile, evitatela. Volete che il vostro protagonista non vada in bianco? Bene, allora fatelo incontrare con una donna, fateli andare a letto e via, ma lasciate perdere la storia d’amore. Si sviluppa nell’arco di due settimane e non ha alcun presupposto per esistere (nel caso di questo romanzo addirittura lei invece di essere affranta e scossa per la morte del suo passato amore pensa bene di rifarsi col cugino, quindi oltre alla superficialità abbiamo anche un indelicato cattivo gusto), non è per nulla importante ai fini delle indagini e della trama in sé, e come amore non sa proprio di niente. Quindi, please, togliamoci dalla testa questo apostrofo rosa perché non è vero che sta bene su tutto.
Tragedia delle tragedie: il commissario Schwarz. L’apoteosi del qualunquismo.
Schwarz è: razzista, borioso, stolido, arrogante, maleducato, presuntuoso, pregiudizievole, collerico, frettoloso, dotato di scarso intelletto e di scarso buonsenso, e se volete trovare qualche altro difetto, beh, da qualche parte ce l’ha. Ho avuto l’impressione che per costruire l’immagine di questo commissario – che è una delle figure chiave – si fossero presi tutti i cliché dei poliziotti antagonisti di Jessica Fletcher e si siano mischiati insieme. Francamente mi sono chiesta il motivo della presenza di un personaggio detestabile come questo, salvo poi pensare che forse c’era bisogno di un cardine poco oliato che creasse l’attrito giusto per mostrare i protagonisti in una luce migliore, facendo passare lui per il cretino di turno.
L’effetto è riuscito. Peccato che non è così che va caratterizzato un personaggio, anche se questo è lo scemo del villaggio.
Per definire un personaggio non bisogna mai essere drastici, mai fargli pensare o dire direttamente qualcosa che volete che il lettore percepisca, mai descriverlo dettagliatamente nei termini con cui volete che il lettore lo vedrà. Perché altrimenti al lettore apparirà meccanico, falso, troppo costruito e non naturale. Senza contare che nel caso del commissario, la negligenza e il pessimo carattere sono elevati al parossismo, sono esagerati e inverosimili. Se io dovessi avere a che fare con un uomo del genere ne diffiderei seduta stante, non avrei mai il coraggio di affidare la mia vita a qualcuno di irascibile, che non conosce i termini specifici del prontuario poliziesco, e che quando si trova al cospetto di tre feriti gravi, tra cui un suo agente, ha il coraggio di dire:
«Tutti qui da me!» gridò. «Lasciate perdere morti e feriti: non è nostro compito occuparci di loro. Dobbiamo trovare l’omicida. [...]»
Guarda, Schwarz, mi dispiace proprio insegnarti il mestiere, ma se l’ambulanza e i paramedici non sono ancora arrivati, la responsabilità dei moribondi è tutta tua. Imbecille.
Insomma, se non l’avete ancora capito, la pecca più penalizzante, quella che mi ha convinta a malincuore a dare un voto basso, è l’inesperienza nel campo della narrativa.
Gli autori sono incappati nei classici errori da prime armi: la storia d’amore stereotipata, poliziotto che prima fa il cattivo e poi il buono e poi il cattivo e poi il buono (tutto rigorosamente in funzione di cosa fa comodo ai protagonisti in un dato momento), qualche incoerenza comportamentale (un esempio: Erik che prima è entusiasta e convintissimo di una certa teoria e pochi giorno dopo la snobba schifato), e qualche dialogo dalla credibilità stiracchiata, anche se su questo fronte non ho visto nessun particolare strafalcione, solo sporadiche scivolate.
Mi è sinceramente dispiaciuto trovare difetti simili in un’opera che aveva tutte le carte in regola per essere un ottimo thriller. Come ho già detto, tutto ciò che coincide con la parte poliziesca è ineccepibile, ben studiata, ben orchestrata, ben gestita, dall’inizio alla fine senza inciampare.
La cornice della vicenda purtroppo abbassa la qualità, emergono inesperienza e luoghi comuni, e un solo personaggio mal realizzato è stato in grado di rendermi insofferente nella lettura di alcuni capitoli.
Il talento comunque c’è ed è palpabile, quindi sono convinta che basterebbe un filo di esperienza e di attenzione a non cadere nei cliché per migliorare, e di molto.
La compagnia teatrale ha recitato benissimo, ma lo sfondo è caduto a pezzi atto dopo atto.