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[Recensione] L’alchimista degli strati di Carlo Sgorlon

Creato il 10 agosto 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

L' alchimista degli stratiTitolo: L’alchimista degli strati
Autore: Carlo Sgorlon
Editore: Mondadori
Anno: 2008
ISBN: 9788804570998
Num. Pagine: 320
Prezzo: 18,00€
Voto: [Recensione] L’alchimista degli strati di Carlo Sgorlon

Trama: (dal risvolto di copertina) L’alchimista degli strati, Martino Senales, geologo altoatesino, è amico e compagno di studi universitari di Abramo Fusswi, figlio di un saggio Emiro del petrolio. Quando l’arabo ritorna in patria, Martino si lascia convincere a seguirlo. Nel piccolo Stato del Golfo diventa il responsabile dell’estrazione dell’oro nero. La sua intelligenza e creatività scientifica paiono in misterioso rapporto con le Forze del Cosmo. Il petrolio è nella prima parte uno dei grandi protagonisti di questo romanzo. É la preziosa energia attinta dagli strati profondi della terra, ma sempre legata ad avvenimenti drammatici e sinistri fin dalle origini della storia. Un libro misterioso, scampato dal fuoco che distrusse la famosa Biblioteca di Alessandria e poi accresciuto da vari autori visionari e profetici, in epoche diverse, ne racconta le vicende complesse e rovinose. Nei tempi moderni esso diventa sempre più la causa di sabotaggi, attentati, invasioni, guerre…

Recensione: L’alchimista degli strati è il più colloquiale dei romanzi di Sgorlon (1930-2009). Contiene la summa di tutta la sua poetica, i temi a lui cari vengono offerti quasi in maniera ossessiva. Spiega, si dilunga senza posa, non si stanca di avvertire ciò che passa per la testa dei personaggi, come se tentasse di far luce  dove non vi sono ombre. E’ uno di quei casi in cui l’estrema ed eccessiva chiarezza si confonde con l’approssimazione, la superficialità e la vaghezza. Chi ha letto gli altri romanzi di Sgorlon sa benissimo che non siamo di fronte a uno scrittore approssimativo. Non posso nascondere che, specie nella parte finale, la sensazione è proprio questa e non vale arrampicarsi sugli specchi per negarla. L’unico tentativo che si può fare è cercare di capire, giustificare. Perché questo romanzo non è tra i più riusciti. Appare il meno meditato, prevale la fretta. La narrazione a tratti è spossata, esausta anche se rigorosa e ordinata. Ho notato più di un periodo ripetuto, preso pari pari. A Sgorlon piace raccontare, narrare, non ne può fare a meno, è un bisogno innato da soddisfare anche quando mancano le parole, e non si ha tempo di cercarle.

Si rivela, specie nelle ultime parti, la fiacchezza di una voce prima entusiasta e infaticabile, ora snervata e affranta nel gridare invano nel deserto. Il messaggio che desidera lasciare è urgente, non può rimanere inascoltato, non può non venire recepito. Presumibilmente l’autore si è sentito in obbligo di tramandarlo in maniera ancora più chiara, anche a costo di diluirlo, renderlo banale. Questa è la sua ultima storia, l’ultimo pezzo per riempire il mosaico. Una volta iniziata,  Sgorlon voleva concluderla, sbrigarsi, sopraffatto dall’ansia di lasciarla incompiuta, cosa intollerabile per un narratore di razza come lui.

Le recensioni più severe ritengono questo ultimo romanzo sciatto, poco convincente, pieno di ingenuità. L’ingenuità ci può stare e anzi ci deve stare perché è propria dei personaggi sgorloniani un po’ fuori dal mondo, i quali tentano in tutti i modi di entrarvi per cambiarlo, ovviamente in meglio. Il loro è il tratto di un’innocenza primordiale,  irrimediabilmente perduta.

Sono troppo severo?

Bisogna esserlo, soprattutto nei confronti dei grandi, di coloro che hanno sempre scelto la strada più difficile, meno scontata. Se qualche volta inciampano, dobbiamo capire che ciò rientra nell’ordinario e ordinato fluire delle cose. Se gran parte dei libri non riusciti fossero scritti come L’alchimista degli strati, le due o le tre stelline di una recensione varrebbero a incoraggiare a far meglio e a continuare lungo la strada già intrapresa, più che ad affossare o demolire.

Tutto sommato il romanzo di Sgorlon qui esaminato rimane sempre un buon esempio narrativo.

Non mancano qua e là momenti notevoli:

 “E se non esiste nessun Creatore?”, “Vuol dire che c’è un Nulla potente e inventivo come Lui, e gli do il nome di creatore”
che fa il paio con questo paradosso:
 “Ciò che era sfornito di coscienza (la natura inanimata), di razionalità e di scelta sapeva fare quello che chi possedeva tutto ciò non era in grado nemmeno di imitare”.
Come dargli torto?

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