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Recensione (Newsletter ANPRI 5.4.2010, di Liana Verzicco)

Creato il 12 aprile 2010 da Sylos
Recensione (Newsletter ANPRI 5.4.2010, di Liana Verzicco)

Come può la scienza comunicare se stessa al grande pubblico? A questa domanda tentano di rispondere due ricercatori del CNR, Francesco Sylos Labini (Istituto dei Sistemi Complessi, Roma) e Stefano Zapperi (CNR-INFM, Modena), che in un recentissimo saggio dal titolo “I ricercatori non crescono sugli alberi” analizzano lo stato di salute della ricerca italiana e del suo rapporto con l’informazione. I due Autori partono dalla convinzione che, per far capire all’opinione pubblica l'importanza strategica della ricerca, il suo ruolo nel progresso tecnico e scientifico della società ed anche la sua rilevanza per gli sviluppi applicativi e le ricadute economiche, è fondamentale disporre di una corretta informazione, in grado di fornire una rappresentazione non distorta, né troppo “difficile” né artificialmente semplificata, dell’attività scientifica. Al contrario, il linguaggio delle pubblicazioni scientifiche è quasi sempre di difficile comprensione per la gran parte dei cittadini: il rapporto che contiene le relazioni di tutti i dipartimenti del CNR sembra scritto, a detta degli Autori, “non perché qualcuno lo possa leggere, ma solo perché qualche regolamento ne prevede la stesura". In Italia, sostengono i due Autori, il rapporto tra la scienza e la comunicazione, tra gli scienziati e i media e poi l’opinione pubblica risulta particolarmente difficile perché mancano giornalisti preparati, in grado di distinguere tra le posizioni accreditate dalla comunità scientifica e le idee estemporanee degli scienziati improvvisati.

Oltre ad analizzare le attuali criticità del sistema (invecchiamento dei ricercatori, scatti di anzianità, turnover, ingressi in ruolo, baronati), Sylos Labini e Zapperi puntano l’attenzione sulla questione della scarsità delle risorse e della loro cattiva distribuzione, fatta senza criteri di valutazione del merito (dei singoli) e della qualità (delle strutture: università e enti di ricerca). Sul problema e sull’idea di risolverlo con la privatizzazione dell'università italiana e della ricerca, i due ricercatori non hanno dubbi: la ricerca di base deve essere finanziata con fondi pubblici perché nessun privato può permettersi di fare un investimento che, da una parte, è inevitabilmente ad alto rischio e, dall'altra, richiede generalmente una scala di tempo molto più lunga di qualsiasi intervallo temporale accettabile da parte di un’impresa.

Liana Verzicco I Ricercatore Istat, Roma

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