Magazine Cultura
E' importante averla conosciuta, quell'ansia di dirsi, quel bisogno di darsi. La convinzione di potere diventare qualcosa di più, o magari di meno, comunque di diverso, quando un'altra persona è sveglia. E se quella persona è nostra, anche la vita lo è, o almeno lo sembra. Nostra.
Titolo: Quattro etti d'amore, grazie Autrice: Chiara Gamberale Editore: Mondadori “NumeriPrimi” Numero di pagine: 242 Prezzo: € 12,00 Sinossi: Quasi ogni giorno Erica e Tea s'incrociano tra gli scaffali di un supermercato. Erica ha un posto in banca, un marito devoto, una madre stralunata, un gruppo di ex compagni di classe su facebook, due figli. Tea è la protagonista della serie tv di culto "Testa o Cuore", ha un passato complesso, un marito fascinoso e manipolatore. Erica fa la spesa di una madre di famiglia, Tea non va oltre gli yogurt light. Erica osserva il carrello di Tea e sogna: sogna la libertà di una donna bambina, senza responsabilità, la leggerezza di un corpo fantastico, la passione di un amore proibito. Certo non immaginerebbe mai di essere un mito per il suo mito, un ideale per il suo ideale. Invece per Tea lo è: di Erica non conosce nemmeno il nome e l'ha ribattezzata "signora Cunningham". Nelle sue abitudini coglie la promessa di una pace che a lei pare negata, è convinta sia un punto di riferimento per se stessa e per gli altri, proprio come la madre impeccabile di "Happy Days". Le due donne, in un continuo gioco di equivoci e di proiezioni, si spiano la spesa, si contemplano a vicenda: ma l'appello all'esistenza dell'altra diventa soprattutto l'occasione per guardare in faccia le proprie scelte e non confonderle con il destino. Che comunque irrompe, strisciante prima, deflagrante poi, nelle case di entrambe. La recensione Fare la spesa è un gesto che dà pace. Sempre che tu abbia soldi da spendere, ovvio. Quindi, riformuliamo il tutto. Sono i supermercati in sé a dare un qualcosa che sembra pace. Microcosmi variopinti e multiformi, in cui tutto ha un posto e una direzione. Impossibile perdersi. Basta alzare lo sguardo e gettare l'occhio sulle insegne che ci indicano il reparto. Dicono cose come: qui trovate Biscotti, Cereali, Merendine. Qui trovate Chili di troppo, Vigore, Felicità in scatole da otto pezzi, più uno in omaggio. Le corsie sono strade, i carrelli sono automobili, gli avventori e gli addetti alle casse sono residenti e coinquilini. Via la confusione, al bando il disordine. Mi capita di gironzolarci, ogni tanto, a tempo perso. Non mi tolgo nemmeno le cuffiette dalle orecchie e, come fossero vasche olimpiche, percorro i reparti: non sono alla ricerca di niente, sono alla ricerca di tutto. Magari, non cercandolo, è su quello scaffale alto alto che troverò quello che voglio. In realtà, quando ho cose da comprare, non perdo tempo: metto tutto nel bustone che mi porto da casa – perché non devo e non voglio dare quindici centesimi alle commesse, per una busta di plastica molliccia e trasparente; quelle dell'Ikea le paghi sessanta centesimi, ma dentro potresti infilarci anche il cadavere di King Kong: sorvoliamo. – e vado alle casse. Le cuffie nelle orecchie restano. Il supermercato è semplicemente tappa fissa quando vado al centro commerciale. Ossia sempre, perché da me non c'è di meglio da fare, quando finiscono le lezioni il pomeriggio presto. E, ogni volta, penso alla scena di un film di cui non ricordo il titolo. I protagonisti riempivano il carrello fino all'orlo, per poi lasciarlo lì, alle casse, senza comprare niente. E, ogni volta, penso a casa. Facciamo qualcosa di simile anche noi, ma con i violantini. Nel mio condominio ne arrivano una marea. I nostri preferiti, tipo, sono quelli blu dell'Euronics. Dopo cena, capita che guardiamo la tv, al tavolo ancora apparecchiato, e, penna alla mano, li riempiamo di crocette. Una grossa X rossa accanto alle cose più costose. Per ridere e crederci più o meno felici anche senza. Senza il televisore in 3D con tanto di occhialini, il nuovo i-Phone, il pc che ha scanner, stampante e fax incorporato – e il caffè, dico io, non lo fa? Al supermercato c'è il reparto libri, poi. Voi che state leggendo questo post lo sapete. Nella mia città, ci perdo tempo mentre i miei sono alle casse. Le file mi annoiano, quindi perdo tempo nel miglior modo possibile di perdere tempo: con un libro che non comprerai mai tra le mani. Ho scoperto la Gamberale così. Al supermercato c'erano i suoi libri e ho iniziato a sfogliarli. Non erano finiti subito nel mio carrello, ma tutti in wishlist: avere una wishlist è gratis. Volevo una copia di Per dieci minuti e l'impressione della felicità, una copia di Le luci nelle case degli altri è il dono dell'onniscenza. A casa avevo giusto Quattro etti d'amore, grazie. Li conservavo in libreria, non in frigo. Quei quattro etti speciali li tenevo in dispensa da un anno. Pasqua 2013. E chissà se avevano una scadenza. Si era mantenuto fresco e profumato, quell'amore, o era andato a male? E' un frutto altamente deperibile. Questo romanzo della Gamberale (che poi a male non c'era andato) te lo dice con arguzia, esuberanza, sincerità – in un mondo di scaffali, banchi salumi, reparti frutta e verdura che, attraverso gli altoparlanti, canta Quello che le donne non dicono. Chiara ti dice anche: dammi le tue buste della spesa e io ti dirò chi sei. Studente, scapolo, mamma, banchiere, vittima sfortunata della crisi economica. Spiare il contrenuto del carrello, per spiare quello del cuore. Nel cassetto in cui custodiamo i nostri desideri segreti. Lo apri, quel cassetto, e ne esce una ventata di solitudine esistenziale che ti sconvolge. E' pieno di cose tristi, ma è buffo. Sul fondo, ha uno scomparto segreto: cela cinismo, garbo e le chiavi di casa di due donne lontane. L'autrice, a capitoli alterni, a liste della spesa alterne, ti fa entrare nelle loro vite. Tea è ricca, bella, famosa... ma non è felice. Recita in una serie televisiva prossima alla cancellazione, ha un passato da cleptomane che fa tanto Winona Ryder, un papà meridionale che ha dato alla sua fabbrica di water e bidet il nome della sua unica figlia, un marito molto adulto, molto grasso e molto artista. Dialoga con sé stessa allo specchio, nella camera da letto che non condivide più da ormai sei anni con il suo Riccardo. Quella seduta sulla sedia è il suo alter-ego, la vera Tea è nello specchio. Lei è diventata l'alter-ego di sé stessa: Wendy, come la chiama quel marito vecchio che è stato suo insegnante, suo maestro di vita, suo bamore unico. Si è sposata con un uomo che ha saputo rispondere, senza una risatina scema, alla sua grande domanda: di che colore è il retro del cielo? Riccardo ha fatto di lei la sua pupilla, la sua Wendy per sempre. Lui è Peter Pan e, tormentato dai rintocchi dell'orologio nella pancia del coccodrillo, non vuole che lei cresca e chiuda la sua finestra alla notte. Lei non riesce a lasciarlo, lei non riesce a stare con lui, lei non sa ancora come finiva la storia di J. M Barry senzo che Walt Disney ci mettesse lo zampino. Allora è diventata amante di un aitante personal trainer partenopeo-americano che può dire cose come “Il mio sogno è io, e te, una station wagon, due piccirilli e un cagno”, ha comprato uno shampoo delicato per la figlia dai capelli ricci che non ha e ha preso ad annotare quello che la cosiddetta signora Cunningham mette nel carrello. Ha sempre qualche bambino aggrappato alla caviglia, ha sempre una lista della spesa densissima: dev'essere per forza felice. La cosiddetta signora Cunningham si chiama Erica e non è felice. E' sposata da undici anni, ha due bimbi, un profilo Facebook, ma – come la modella sulla copertina – si sente sottovuoto. Ermeticamente imprigionata. In una busta salvaspazio, senz'aria. Imprigionata dalla routine – il lavoro, il pranzo, scarrozzare Figlia al catechismo e scarrozzare Figlio da un amichetto, la cena -; imbustata in una vita-non vita. Erica ha il trauma di un rapinatore col volto coperto che le punta una pistola contro, la paura che la pasta sia troppo al dente o troppo scotta, la tenerezza verso un fratello un po' matto e una mamma che gioca ad essere single in un'isola esotica, l'esigenza di un cambiamento radicale. La nota positiva delle sue tante giornate è il momento della spesa. Quando incrocia la celebre Tea Fidelibus e il suo carrello pieno di cibi ipocalorici, e fantastica su quella donna che, non sa e non lo saprà, la spia di nascosto e la invidia. Ma chi è felice davvero, alla fine? Quattro etti d'amore, grazie è un romanzo con passaggi e persone belle da morire. Un'analisi profonda e originale che esplora con superficialità zero una galleria di personaggi commoventi e travolgenti. Non è un esempio di page turner – o come si dice non lo so – ma è scritto nel modo che piace a me. Nel modo che dovrebbe piacere a tutti. Con inventiva, bravura e una libertà senza limiti. Sfilze assillanti di punti di domanda, monologhi interiori, messaggi in chat con faccine sorridenti comprese, dialoghi tra due donne e le loro reciproche coscienze. Del telefilm di cui è protagonista Tea, intitolato Testa o Cuore, conosciamo qualche dettaglio: i titoli di testa scritti a colpi di rossetto, l'impulsivo romanticismo di Lei, la calma di Lui, il significativo finale di stagione. Sarebbe perfetto per il piccolo schermo, così com'è. E lo sarebbe anche Quattro etti d'amore. Vagamente anni '50, a metà tra Happy Days e uno show, da scrivere ancora, sul mondo segreto di Broadway. Con un'Italietta incantata dalle prime televisioni e dalle vite "spericolate" delle stelle del cinema. La morale: afferra la vita, finché è in offerta speciale. Vivila come se fosse un hobby; vivi senza lasciarti vivere. Impara a ballare la salsa. Chiara Gamberale? Un suo romanzo? Ne prendo un altro, grazie. Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: Amy Winehouse – Love Is a Losing Game
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