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[Recensione] Rapporto di polizia. Le accuse di plagio e altri metodi di controllo della scrittura di Marie Darrieussecq

Creato il 02 settembre 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

Rapporto di polizia. Le accuse di plagio e altri metodi di controllo della scritturaTitolo: Rapporto di polizia. Le accuse di plagio e altri metodi di controllo della scrittura
Autore: Marie Darrieussecq
Traduttore: Luisa Cortese
Editore: Ugo Guanda Editore
Anno: 2011
ISBN: 9788860884527
Num. Pagine: 344
Prezzo: 20,00 €

Voto: null

 

Contenuto: (dal risvolto di copertina) Accusata per due volte di plagio – nel 1998 da Marie NDiaye per “Nascita dei fantasmi”, e nel 2007 da Camille Laurens per “Tom è morto” Marie Darrieussecq decide, per meglio difendersi, di cercare di comprendere ciò che le è accaduto. Intraprende così un viaggio nel paese cupo e inospitale della plagiomania, di quel desiderio folle di essere plagiati che può portare alla calunnia. È un territorio in cui ogni scrittore si barrica nel proprio spazio per tutelare la presunta e mitizzata unicità della propria voce; il bisogno di essere letto e amato si intreccia con l’ossessione tutta contemporanea per l’originalità, la veridicità, l’espressione in prima persona, per cui ogni tentativo di indagare i sentimenti di un personaggio di finzione è considerato un’intrusione nel campo di chi quei sentimenti li ha vissuti nella realtà. Prendendo spunto dai casi delle più clamorose accuse di plagio, come quelle rivolte a Freud, a Celan, a Mandel’stam, a Daphne du Maurier o a Émile Zola, e basandosi sugli studi che hanno affrontato il fenomeno dal punto di vista sociologico, psicologico e legale, l’autrice individua nella Russia dei primi anni della Rivoluzione il legame tra ossessione per il plagio e persecuzione dei poeti. In un libro che vuole essere un omaggio alla forza della letteratura, Marie Darrieussecq smaschera così i tratti più inquietanti della plagiomania: oltre all’incapacità di accettare i meccanismi della creazione letteraria, che si è sempre nutrita di citazioni più o meno dichiarate, di imitazioni, omaggi e rivisitazioni, l’accusa di plagio nasconde la volontà di imporre un controllo sull’invenzione narrativa, di negare la sua capacità di creare mondi con la sola forza della fantasia.

Premessa: Durante una scorribanda in libreria mi sono imbattuto per caso in quest’opera. Sono passato oltre. Nei giorni successivi mi sono tornati in mente, con prepotenza, la copertina, il titolo e soprattutto il sottotitolo: “Le accuse di plagio e altri metodi di controllo della scrittura”.  Sono tornato in libreria, l’ho trovato, comprato, portato a casa. L’ho fatto riposare una settimana sul comodino. Prima di iniziare la lettura volevo fare mente locale e raccogliere un po’ di idee. Eccone qualcuna.

Cos’è esattamente un plagio? Fondamentalmente è raccogliere dove non si è seminato, fare un “copia e incolla”, una fotocopia, senza inserire nulla di proprio, di sé. È una definizione molto ristretta, credo, ma appropriata. Prendiamo per esempio Shakespeare. Non ha inventato Romeo e Giulietta. Un po’ ha attinto dalle Metamorfosi di Ovidio, dove si legge la storia di Piramo e Tisbe. Dante dimostra di conoscere le famiglie veronesi (“Vieni a veder Montecchi e Cappelletti…” Purgatorio,VI 106). Senza andar così lontano, la vicenda era stata raccontata in maniera prolissa dal vicentino Luigi Da Porto nel 1531 (vedi QUI).  Shakespeare è debole nell’inventare trame, ha bisogno di una storia dalla quale attingere idee,  avere ispirazione. Prende a prestito immagini, archetipi, personaggi, nomi, vivificandoli, creando qualcosa di nuovo e inaudito:

Shakespeare superò tutti i suoi predecessori e inventò l’umano come lo conosciamo noi… In gran parte delle sue opere più belle lo scrittore non imitò la vita, bensì la creò… La rappresentazione del carattere e della personalità umana è il valore letterario supremo in tutti i tipi di scritti, siano essi drammatici, lirici o narrativi (da Harold Bloom, Shakespeare – L’invenzione dell’umano, Rizzoli, 2001)

Si fa molta fatica, nel caso di Shakespeare, a parlare di plagio. Shakespeare è giunto fino a noi. Senza di lui nessuno ricorderebbe lo scrittore vicentino sopra citato.

Qui arriviamo al punto: non basta per parlare di plagio una somiglianza di trama, di storia, di eventi.

Altro esempio. Umberto Eco è stato accusato di plagio dallo scrittore cipriota  Costas Socratous  per qualche somiglianza de “Lo scomunicato” del 1964  con il Nome della Rosa (vedi QUI). Il Nome della rosa l’ho letto venticinque anni fa, a quattordici anni e ancora lo rileggo volentieri, come le postille a fine volume (delle quali preparerò un articolo a parte uno di questi giorni). Il film di Jean Jacques Annaud l’avrò visto una decina di volte. Dubito fortemente che il romanzo di Socratous vi abbia molto a che fare. Suscita per lo più curiosità. Se riesco a trovarne una copia lo recensirò senz’altro, magari per scoprire un’opera a sé, particolare, con dignità propria. Anzi: chi ne avesse una copia da qualche parte è pregato di segnalarmelo.

Ora posso passare al libro di Marie Darrieussecq.

Recensione:
L’accusa di plagio può rivelarsi una forma di persecuzione, di stalking. Il titolo scelto dice tutto. Partendo dalla propria esperienza personale, l’autrice passa in rassegna alcuni casi eccellenti: Paul Celan, Daphne du Maurier, persino Freud. L’accusa di plagio è il peggior incubo che possa colpire uno scrittore. Può condurre alla follia, alla depressione o avere altri risvolti tragici, come il suicidio.

Finché, come ho detto, si fa un copia incolla di un’idea altrui senza aggiungere o elaborare nulla, allora il plagio ha un suo rilievo, assume una sua gravità perché diviene contraffazione. Sempre che non sia la riproduzione reiterata di banalità, cliché, idee nell’aria, cose altrimenti scontate, luoghi comuni. In tal caso è niente, insussistente, qualcosa di inutile. Quando invece ci si agita perché una certa idea l’ha avuta un altro pur avendola rielaborata in qualche modo, aggiungendovi un tocco personale, le cose si complicano un poco. Di solito in questi casi ciascuno attinge alle proprie letture, alle proprie esperienze, a un bagaglio comune per esempio gli archetipi, per non parlare dell’inconscio collettivo di Jung:

  Nell’antica Grecia scrivere significava riscrivere. Il plagio era universale p.20

Facciamo un paio di esempi:

[Flaubert] ricopia i consigli edificanti di Mermillod e li fa masticare alle mandibole dei suoi due poveracci. Il testo non è più di Mermillod, è di Flaubert.

Steinbeck e Maupassant potrebbero scrivere due frasi composte esattamente dalle stesse parole e sarebbero due frasi diverse p. 145

Mi viene in mente che la stessa cosa può dirsi paradossalmente di un racconto di Borges, Pierre Menard, autore del Chisciotte. Insomma, in pieno Novecento un tale Pierre Menard riscrive il don Chisciotte di Cervantes. Ne viene fuori un’opera straordinaria, del tutto identica all’originale, e però profondamente diversa per epoca, motivazioni, pulsioni: è una riscoperta, un’immedesimazione, un’appropriazione, non so quanto indebita.

Il plagiato si legge nei libri degli altri, vive di ossessioni, in una sorta di delirio:

Anche se non ho fatto io per primo questa scoperta così evidente, per lo meno ce l’avevo in mente prima di sentire parlare di Freud (Viktor Tausk) p. 43

Quando l’idea era la stessa era furto, quando l’idea era diversa, era stata deformata p. 176

Già si intuisce la differenza rispetto a un normale lettore. Al lettore ordinario fa piacere vedere se stesso nei libri che legge, riconoscersi, strutturare una propria identità letteraria. Credo che sia questa l’origine di un genere letterario tutto particolare: la fanfiction.

Non siamo forse anche quello che leggiamo (era il titolo di un libro di Aidan Chambers, recensito QUI)?

I libri, gli autori che più ho amato sono quelli che parlano al mio cuore e dicono al mio posto tutte quelle cose sulla vita che ho più bisogno di sentire come confessione di me stesso” (A. Chambers, Cartoline dalla terra di nessuno).

Che dire, poi? I libri parlano tra loro, non sono isole. I lettori possono parlarsi attraverso i libri che leggono. Perché non permettere altrettanto agli scrittori, di interloquire attraverso i libri che scrivono? Si formano in questo modo le correnti, ci si riunisce attorno a un idem sentire, ci si riconosce in un percorso comune. Si riconosce l’ALTRO, si scopre un TU. É il caso emblematico di Paul Celan che, proprio per questo,  ha sofferto di più dell’accusa di plagio, fino a togliersi la vita. L’ALTRO, il TU gli si era rivoltato contro, aggredendolo, divorandolo.

L’ossessione del plagio è una mazzata, una battuta d’arresto alla voglia di scrivere e alla circolazione della cultura, della poesia, di un patrimonio che vuole diventare comune. L’ambiente circostante pullula invece di gente che grida: “IO IO IO” oppure “MIO MIO MIO”, sempre più isolata, monca e povera:

Quando si è ricchi di parole, ricchi di stile, non ci si impoverisce nel vederli presi, ripresi, nel vederli vivere p. 68

Il plagio è l’angolo morto della scrittura; un ostacolo alla lettura, alla scrittura, al desiderio, il punto in cui tutto questo smette di circolare p. 181

Viene meno il piacere della lettura. Il lettore si appropria di quello che legge, semplicemente lo metabolizza. Anche questo è visto come plagio? Anche canticchiare una canzone in voga?

Tutto questo per giungere alla definizione dell’arte, se non addirittura dell’umanità stessa e capire che a girare intorno alla questione non si arriva da nessuna parte, non si cava un ragno dal buco.

L’arte è definita quale imitazione della realtà, della natura. La definiscono in questo modo Aristotele, Platone, Seneca (l’elenco è lungo: chi ha plagiato chi?)

Noi stessi siamo immagine e somiglianza della divinità, quindi un plagio. Le nostre creazioni, invenzioni, non sono altro che copie, imitazioni di ciò che appartiene a un disegno più alto.

Come la mettiamo?


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